Antonio Pappano: Guillaume Tell Divertissements - Cantata di Natale
Auditorium Parco della Musica
Accademia Nazionale di Santa Cecilia
ORCHESTRA, CORO E CORO DI VOCI BIANCHE DELL’ACCADEMIA NAZIONALE DI SANTA CECILIA
Antonio Pappano
Direttore
Ciro Visco
Maestro del Coro
José Maria Sciutto
Maestro del Coro di Voci Bianche
Gioachino Rossini
(Pesaro 1792 – Passy, Parigi 1868)
Guillaume Tell: Divertissements -
Arthur Honegger
(Le Havre 1892 – Parigi 1955)
Une Cantate de Noël (Cantata di Natale)
per Baritono, Coro, Coro di Voci Bianche e Orchestra
GUILLAUME TELL: DIVERTISSEMENTS
Choeur dansé (Atto I)
Pas de trois, et choeur Tyrolien (Atto III)
Pas de Soldats (Atto III)
Data di composizione
1828-1829
Prima esecuzione
Parigi
Théâtre de l’Academie
Royale de Musique
3 agosto 1829
Organico
Coro, Ottavino, 2 Flauti,
2 Oboi, Corno inglese,
2 Fagotti, 8 Corni,
4 Trombe, 3 Tomboni,
Timpani, Gran Cassa,
Piatti, Triangolo, Campane,
Tam-Tam, 2 Arpe, Archi
Note di Natale
di Gianluigi Mattietti
I Divertissements del Guillaume Tell di Rossini
Tratto dal libretto di Sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Al culmine dei suoi successi da operista, nel luglio del 1824 Rossini si stabilì a Parigi, dove fu nominato direttore del Théâtre Royal Italien. Lì compose la cantata scenica Il viaggio a Reims, per l’incoronazione di Carlo X, alcuni rifacimenti per le scene francesi di opere già scritte in Italia (Le Siège de Corinthe, Moïse et Pharaon), e due nuove opere, molto attese dal pubblico, e che sarebbero state poi le ultime: l’opera comica Le Comte Ory, scritta su libretto di Eugène Scribe e messa in scena il 20 agosto 1828; e Guillaume Tell che approdò sulle scene dell’Opéra il 3 agosto 1829. Quest’ultima ebbe una lunga gestazione. Inizialmente Rossini aveva vagliato alcuni libretti ancora di Scribe (Gustave III, che sarà poi musicato da Auber; e La Juive, che fu musicato da Halévy), ma la sua scelta alla fine cadde su un libretto, ancora inutilizzato, di Étienne de Jouy, tratto dal dramma di Schiller e dal racconto La Suisse libre di Jean-Pierre Claris de Florian. Benché prolisso, il compositore lo trovò teatralmente efficace, e dotato di tutti gli elementi adatti al gusto dell’opera francese: scene di massa, contenuti patriottici, colore locale, danze campestri, marce militari, la tempesta sul lago, momenti di suspense come il lancio della freccia.
Rossini dedicò molto tempo a questo lavoro, chiese a Hippolyte Bis di apportare alcune modifiche al libretto, ci mise le mani lui stesso, rimaneggiò a più riprese la partitura durante le prove, e riuscì così a svincolarsi da tutti gli stereotipi italiani, e anche “rossiniani”, realizzando un «melodramma tragico» che apriva di fatto la strada sia al grandopéra francese che all’opera romantica italiana.
Poiché la tradizione operistica in Francia era da sempre assai attenta all’elemento visivo dello spettacolo, ai cori ed alle danze, nel Guillaume Tell Rossini affidò un ruolo predominante alle scene corali, trasformando il popolo svizzero in un personaggio centrale nello sviluppo del dramma e della musica, con ampi tableaux corali che puntellano ciascuno dei quattro atti. Nel primo e nel terzo atto alcune di queste pagine fanno parte di organismi ancora più articolati, dei Divertissements coreografici di vaste dimensioni, in cui il compositore usa il coro e la danza per rappresentare momenti festosi e cerimoniali inseriti all’interno della vicenda. Lunghe scene che sono state spesso considerate superflue allo sviluppo drammatico dell’opera (già molto estesa), tanto che in molti allestimenti ottocenteschi, soprattutto in Italia, venivano omesse. Ma, ad una attenta analisi, si scopre la loro importante funzione in termini di tensione e di temperatura drammatica, la raffinata filigrana orchestrale e vocale che li caratterizza, il gusto di Rossini per gli effetti timbrici, e la sua sapienza contrappuntistica nell’innesto di controcanti e linee secondarie. Escludendo il duetto tra Tell e Aroldo («Ou vas-tu? Quel transport t’agite?»), tutto il primo atto appare come un’immensa scena di massa, solo punteggiata da interventi dei solisti «che emergono quasi come emanazioni della collettività» (D’Amico).
Una festa campestre per le nozze di tre coppie di pastori, che si svolge fra canti e balli, mentre Guillaume piange in disparte le sorti della patria oppressa dal dominio asburgico; in questa lunga scena corale Rossini crea una sottile progressione drammatica, che va dal sereno idillio del coro iniziale, culminante nella canzone del pescatore, fino all’improvviso arrivo del pastore Leuthold, che per salvare l’onore della figlia ha ucciso un soldato austriaco, e cerca di fuggire da Rodolphe e dai suoi sgherri che lo inseguono. Sarà Guillaume ad aiutarlo, traghettandolo sull’altra sponda del torrente, suscitando però l’ira di Rodolphe che fa distruggere il villaggio e prende in ostaggio il vecchio Melcthal.
Il Choeur dansé, posto al centro di questo atto, permette a Rossini di ottenere due risultati sul piano drammaturgico: imprime subito una chiara ambientazione popolaresca all’opera, con vivaci temi ballabili, sviluppati con grande eleganza; e dà grande risalto alla successiva, improvvisa piega drammatica che prendono gli eventi. Si tratta del coro della cerimonia nuziale, accompagnato da danze («Hyménée, ta journée»), cantato sottovoce su un pimpante ritmo di 3/8, con un luminoso passaggio dal la minore al la maggiore. Il terzo atto è caratterizzato da due momenti drammatici: l’iniziale incontro, in una vecchia cappella in rovina, tra Mathilde e Arnold, deciso a vendicare il padre Melchtal che è stato giustiziato, e la scena clou della mela e dell’arresto di Guillaume, posta alla fine dell’atto. In mezzo, come elemento di contrasto, c’è la scena della festa che Gesler ha organizzato nella grande piazza di Altdorf per celebrare il diritto di sovranità sulle terre elvetiche, obbligando ogni svizzero ad inginocchiarsi di fronte a un trofeo d’armi.
Dopo una marcia pomposa e volutamente tronfia («Gloire au pouvoir suprême! Crainte à Gesler qui dispense ses lois!») e dopo l’aria di Gesler («Que l’empire germain de votre obéiscd sance / reçoive le gage aujourd’hui») ha inizio la festa (la didascalia spiega come dietro la festosità della musica si debba percepire l’inquietudine per la sopraffazione: «Alcuni soldati costringono donne svizzere a ballare con loro. Gli abitanti mostrano a gesti la loro indignazione per questa violenza. Dei trovatori, annunciati da un paggio, succedono ai soldati; infine appaiono dei tirolesi e delle tirolesi che voci sole accompagnano»), accompagnata da due numeri coreografici: il Pas de trois, et choeur tyrolien e il Pas de soldats. Il primo, introdotto da quattro vigorosi accordi di tutta l’orchestra che fanno da sipario a questa scena danzata, è caratterizzato da un tema aggraziato e staccato degli archi (Allegretto) che contrasta con il coro a cappella «Toi que l’oiseau ne suivrait pas», dal carattere montanaro, con le voci maschili che ribattono degli accordi, mentre quelle femminili disegnano ampie volute che ricordano uno yodel. Dopo un breve, movimentato episodio orchestrale, con le figure staccate degli strumentini, questo coro viene ripreso – ma con l’accompagnamento orchestrale – e seguito da una serie di variazioni e da un poderoso crescendo finale.
La scena coreografica si chiude con il Pas de Soldats (Allegro brillante), concepito come una specie di galop, in sol maggiore, che commenta la sfilata dei soldati.
UNE CANTATE DE NOËL (CANTATA DI NATALE)
per Baritono, Coro, Coro di Voci Bianche e Orchestra
(prima esecuzione nei concerti dell’Accademia)
Data di composizione
1952-1953
Prima esecuzione
Basilea
18 dicembre 1953
Direttore
Paul Sacher
Organico
Baritono, Coro,
Coro di Voci Bianche,
2 Flauti, 2 Oboi,
2 Clarinetti, 2 Fagotti,
4 Corni, 3 Trombe,
3 Tromboni, Organo,
Arpa, Archi
La Cantata di Natale di Honegger
Tratto dal libretto di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
La composizione di Une Cantate de Noël fu una sorta di testamento spirituale per Arthur Honegger. Si tratta infatti della sua ultima composizione di ampio respiro, composta tra il 1952 e il 1953, due anni prima della morte, anche se il progetto risaliva a diversi anni addietro. Tutto aveva avuto inizio nel 1937 quando il compositore aveva incontrato il poeta svizzero Cäsar von Arx (nato a Basilea nel 1895), e insieme avevano progettato di realizzare una sacra rappresentazione, una passione in due parti, da eseguire, nell’arco di una intera giornata, nella città svizzera di Selzach. Honegger aveva cominciato a lavorare alla partitura tra il novembre del 1940 e il febbraio del 1941, ci era tornato sopra alla fine del 1942, e ancora nel dicembre del 1944, ricevendo da von Arx il testo scena dopo scena. Honegger lavorava senza fretta, perché era consapevole che un’esecuzione si sarebbe potuta avere solo dopo la fine della guerra. Ma diverse circostanze fecero poi accantonare il progetto, anche a guerra finita: nel 1947 Honegger, che era sempre stato un uomo in ottima salute, ebbe un attacco di cuore dal quale non si ristabilì più; nel 1949 von Arx si suicidò. E la Passione di Selzach rimase incompiuta.
Qualche anno dopo, però, ci pensò Paul Sacher a convincere il compositore a riprendere in mano il progetto. Il celebre direttore d’orchestra e mecenate della musica contemporanea, dal quale Honegger aveva già ricevuto numerose commissioni, gli propose di ricavare da quegli abbozzi una Cantata natalizia, che sarebbe stata eseguita per le celebrazioni dei 25 anni dell’Orchestra e Coro da Camera di Basilea previste per il Natale del 1951. Honegger riprese circa metà della musica già scritta, cioè tutta la musica dedicata all’episodio della Natività (lasciando fuori le parti sulla Creazione del mondo, sul Paradiso terrestre, sull’Annuncio della venuta di Cristo, su Giobbe). Ma le condizioni di salute sempre peggiori, aggravate da una flebite e da un’embolia polmonare, gli impedirono di completare la partitura in tempo utile. La composizione fu quindi ultimata solo all’inizio del 1953 (un’indicazione in fondo alla partitura ricorda il materiale di provenienza: “Paris, 25 janvier 1953, d’après l’esquisse du 24 janvier 1941”) e fu eseguita il 18 dicembre 1953, a Basilea, con il baritono Derrik Olsen, Paul Sacher sul podio, e il compositore in sala che poté assistere a un autentico trionfo. Oltre al baritono solista, la partitura chiama in causa un coro di bambini, un coro misto, grande orchestra e organo.
Nella sua architettura semplice, simmetrica, mette insieme testi popolari e liturgici, compresi salmi e parti del Gloria latino. Ma la sua particolarità è la mescolanza di canti natalizi di diverse provenienze (Francia, Germania, Austria, Inghilterra) che si intrecciano in una trama corale e orchestrale di grande ricchezza timbrica, che testimonia la maestria contrappuntistica del compositore, e sembra esprimere una volontà di pace e di armonia tra nazioni diverse, a pochi anni dalla fine della Guerra.
La lenta introduzione (Largo) è dominata dall’organo con le sue armonie dissonanti, piene di mistero, sulle quali si avviluppano prima sinuose e sinistre linee degli archi gravi (Andante) – che riecheggiano la Sinfonia Liturgique del 1945 –, poi anche il coro, che dopo alcuni vocalizzi intona il salmo «Decantata di natale profundis clamavi ad te Domine». Da qui una stratificazione di linee, punteggiata da figure strumentali violente come staffilate, e una graduale espansione della polifonia verso il registro acuto, generano un inesorabile crescendo che prende le movenze di una sinistra marcia, scandita dal pizzicato dei violoncelli e dei contrabbassi, quindi culmina in un fitto ordito di nervose figure dei fiati (Doppio Movimento), e alla fine nel grido del coro “O komm, komm Emmanuel” (Largo), fortemente dissonante, accompagnato dalla massa dei fiati. Poi tutto si scioglie in una sezione corale morbida, intrisa di lirismo, con il coro delle voci bianche che risponde con un delicato arabesco sulle parole «Joie et Paix su toi, Israël» (Poco meno Largo).
Qui ha inizio la seconda parte della Cantata. L’assolo dell’organo, le fanfare delle trombe, l’ampia frase del baritono che annuncia l’arrivo di Cristo (“Fürchtet euch nicht”) preparano un nuovo episodio corale, introdotto questa volta dalle voci bianche con un antico canto di natale tedesco (“Es ist ein Reis entsprungen aus einer Wurzel”). Quindi altri canti natalizi (in partitura Honegger suggerisce che vengano cantati, ciascuno nella lingua originale) si alternano e si sovrappongono in una sapiente polifonia che riprende l’antica pratica del Quodlibet bachiano: il coro e le voci bianche prima si alternano, poi si intrecciano in un gioco frammentato, e alla fine si fondono su un lungo pedale dominato dal celebre «Stille Nacht, Heilige Nacht» (in cui si avvicendano contralti, tenori e bassi, raddoppiati dai corni, e accompagnati dagli ampi arabeschi degli archi).
Questa visione angelica sfuma in un Adagio, con un effetto armonicamente straniante, che conduce alla parte finale della Cantata. Al “Gloria in excelsis”, intonato dal baritono, risponde una voce bianca che accenna l’incipit gregoriano del salmo “Laudate Dominum omnes gentes”, che il coro riprende prima sottovoce, poi scandendolo radiosamente su massicci accordi orchestrali in tempo ternario, con un piglio ritmico un po’ händeliano, un po’ stravinskijano, mentre le voci bianche (insieme alla tromba) intonano il tema gregoriano come un cantus firmus. La tensione di questo episodio culmina in un grande “Amen” e poi si scioglie in un vocalizzo di tutto il coro, e in un nuovo Quodlibet (Largo), simmetrico al primo, ma affidato alla sola orchestra, che ricapitola i temi natalizi in una fitta trama di grande carica evocativa. Poco a poco l’ordito si dirada, e lascia solo echi frammentari di quelle melodie, che sembrano perdersi in lontananza, mentre riaffiorano, retrogradate, le misteriose armonie iniziali dell’organo.