Tomas Netopil: Mendelssohn Concerto in mi op.64, Nicolaj Znaider violino

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Tomas Netopil
    Direttore

    Nikolaj Znaider
    Violino


    Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847)
    Concerto in mi minore op. 64 per violino e orchestra (1844)
    Allegro molto appassionato
    Andante
    Allegretto non troppo – Allegro molto vivace

     

    Un concerto fuori del tempo
    Tratto dal programma di sala dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    L’estate del 1844 fu un periodo piuttosto affaccendato per Mendelssohn. Il luogo, Bad Soden, sembrava perfetto per rimanere qualche settimana a oziare tra trattamenti rigeneranti e acque termali; ma niente da fare: Mendelssohn nemmeno in vacanza sapeva restare con le mani in mano. Da una parte c’era la baronessa Bunsen, con le sue pressioni per una versione musicale, mai realizzata, dell’Orestea di Eschilo; dall’altra l’editore londinese Coventry & Hollier, che sollecitava una revisione delle opere per organo di Bach, nonchè un ciclo di composizioni originali, che avrebbero preso il titolo di Sei Sonate op. 65. Alcuni concerti erano in programma al festival di Zweibrücken, dove Mendelssohn apparve per dirigere il Paulus e Die erste Walpurgisnacht. E poi c’erano gli impegni organizzativi che giungevano dal Gewandhaus e dal neonato Conservatorio di Lipsia.

    Insomma, a Bad Soden, di tempo per oziare ce n’era veramente poco. Eppure, proprio in quei mesi vissuti con affanno nacque un’opera che sembra estranea alla comune nozione di tempo: un’oasi in cui respirare a pieni polmoni, come se non esistessero un prima e un poi; un Concerto per violino, destinato a conquistare il pubblico fin dalla prima esecuzione, avvenuta il 13 marzo 1845 al Gewandhaus di Lipsia, con Ferdinand David solista e il danese Niels Gade sul podio.

    Il contatto con la dimensione temporale si fa labile fin dalle prime battute: uno sfuggente gesto d’accompagnamento da parte dell’orchestra, e poi via, subito l’intervento del violino. La scelta di eliminare il tradizionale schema della doppia esposizione (prima l’orchestra, poi il solista) non era affatto sconvolgente; dopo il Concerto “Jeunehomme” di Mozart, il Quarto Concerto di Beethoven e i primi due Concerti per pianoforte dello stesso Mendelssohn, la soluzione poteva considerarsi definitivamente consolidata. Ciò che lascia a bocca aperta è piuttosto la sensazione che la composizione sia già cominciata qualche istante prima, in un luogo temporale che sfugge alle lancette dell’orologio; proprio come accade spesso nelle composizioni di Schumann, si comincia la lettura di un libro lasciato aperto da un’altra mano. E qualcosa di simile avviene anche con l’altra grande innovazione dell’Allegro molto appassionato: l’inserimento della cadenza al centro del movimento, invece che nella coda. Anche in questo caso l’ascoltatore ha la sensazione di perdere l’orientamento; ma l’anticipazione smentisce il tradizionale scollamento della pagina solistica, per favorire un’integrazione molto più intima con il tessuto formale del brano.

    Una nota tenuta del fagotto introduce il successivo Andante; ma su tutto il brano aleggia un misterioso senso di emanazione, probabilmente dato dall’anticipazione del secondo tema dell’Allegro molto appassionato, quando il clima si fa improvvisamente bucolico. E' quello squarcio en plein air ad allungare la sua ombra sull’Andante, la pagina in cui ogni battito sembra annullarsi in un orizzonte che ha definitivamente perso contatto con la nozione di tempo. E anche il Finale è intimamente collegato al movimento precedente; il suo clima zampillante, chiaramente imparentato con le musiche di scena per il Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, è introdotto da un Allegretto non troppo che risveglia progressivamente la danza fantastica e immateriale conclusiva.

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