Nicola Luisotti: Musorgskij Una notte sul Monte Calvo
Auditorium Rai Arturo Toscanini – Torino
Orchestra Sinfonica Nazionale Della Rai
Nicola Luisotti direttore
Modest Musorgskij (1839-1881)
Una notte sul Monte Calvo, quadro sinfonico (1858-1886)
(orchestrazione di Nikolaj Rimskij-Korsakov)
Musica delle streghe
Tratto dal libretto di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Musorgskij cominciò a pensare a Una notte sul monte calvo nel 1858, in seguito alla lettura di un testo teatrale firmato dal barone Georgij Mengden. L’informazione è certa, visto che compare nella corrispondenza dello stesso compositore; ma è l’unico dato disponibile, perche dell’opera letteraria ci è pervenuto soltanto il titolo, La strega. Evidentemente per Musorgskij erano anni di grande interesse nei confronti dei soggetti di natura sinistra e demoniaca: negli stessi mesi sarebbe nato il progetto, mai portato a termine in realtà, di un’opera sul racconto di Gogol’, La notte di San Giovanni, con tanto di diavoli, streghe e assassinii cruenti. Pare che un intero atto della Strega fosse ambientato sul Monte Calvo - probabilmente il Monte Triglav della Russia meridionale - tra sabba di streghe e riti macabri di ogni genere. Ma uno stimolo non indifferente venne anche dalla sonorità funesta del Totentanz di Liszt, che Musorgskij ascolto per la prima volta con grande interesse nel marzo del 1866.
Il risultato è una pagina sinfonica che dice probabilmente tutto quello che avrebbe potuto dire l’opera teatrale. Il primo titolo dato dall’autore fu La notte di San Giovanni sul Monte Calvo; ma l’opera subì due ulteriori revisioni, prima (1872) per coro e orchestra, poi (1878) in vista di un ulteriore riadattamento teatrale, ancora una volta abortito (il soggetto doveva essere tratto da un altro racconto di Gogol’ intitolato La Fiera di Soročintsy); e cosi Musorgskij morì nel 1881 senza aver davvero smesso di lavorare su una delle sue opere migliori. La partitura fu pubblicata postuma solo nel 1886, con il nuovo titolo, Una notte sul Monte Calvo, e un’orchestrazione quasi totalmente rivista da Nikolaj Rimskij-Korsakov.
Una genesi così complessa, e così densa di fonti divergenti, difficilmente ci consente di individuare nella musica di Musorgskij un preciso filone narrativo; potrebbe trattarsi della vicenda raccontata da Gogol’ nella Notte di San Giovanni, quando il giovane Petr perde la memoria di un assassinio efferato e, solo grazie all’intervento di una fattucchiera, riprende la tragica coscienza dell’accaduto; potrebbe trattarsi del rito oscuro celebrato tra le sinistre alture del Monte Calvo nella Strega di Mengden; o ancora del sogno descritto da Gogol’ nella Fiera di Soročintsy, quando il protagonista immagina l’apparizione del diavolo, sotto forma di porco, tra la gente rubiconda di un tranquillo villaggio rurale. L’unica cosa certa è che Musorgskij cerca di dar vita al tema del grottesco satanico, immergendo le mani in quelle sonorità demoniache e torbide che Berlioz e Liszt avevano insegnato a tanti compositori dell’Ottocento. I quattro titoli inizialmente assegnati ai vari episodi della composizione alludono chiaramente a un’adunata di streghe, a un corteo di diavoli, a una messa nera e a un sabba. Tutti temi che ritornano in ognuno dei soggetti letterari passati per le mani di Musorgskij nel corso della stesura del brano orchestrale.
I brividi dei violini che aprono la composizione, assieme alle fiammeggianti scintille dell’ottavino, ricordano l’atmosfera delle riunioni tra streghe ideate da Verdi, quasi negli stessi anni, per il Macbeth (1847-1865). Ma i movimenti pesanti dei contrabbassi hanno un sapore ben più spaventoso e tellurico. Il tema che prende forma tra fagotti e tromboni ha i tratti di una danza agghiacciante, al cospetto di un’entità che predilige festeggiare odorando il profumo della morte. Il grottesco battito di violini e viole “col legno” (sonorità già sperimentata da Berlioz, nella Symphonie fantastique, proprio per alludere a un mondo altro, complementare alla realtà degli uomini in carne e ossa) sembra quasi una furente cavalcata sulle scope. E poi c’è la messa nera, il culmine del rito oscuro, con il suo accenno di canto liturgico, rovesciato nella sonorità sinistra di un corale che stride nel registro dei legni. L’incubo svanisce solo in chiusura, quando lontani rintocchi di campane portano la voce confortante di una collettività umana che crede ancora in qualche valore spirituale. Clarinetto e flauto accolgono il nuovo giorno con un tema dolce, come può essere solo una parola amica successiva a una tragedia agghiacciante. E nel tremolante tintinnio dell’arpa si intravedono le prime luci dell’alba.