Antonio Pappano: Poulenc Gloria – Mozart Sinfonia Haffner. Sally Matthews soprano

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    Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

     

    Sir Antonio Pappano Direttore
    Sally Matthews Soprano

    Francis Poulenc
    (Parigi 1899 - 1963)
    Gloria per soprano, coro e orchestra

    Wolfgang Amadeus Mozart
    (Salisburgo 1756 - Vienna 1791)
    Sinfonia in re maggiore K. 385 “Haffner”

     

     

    Francis Poulenc
    Gloria per soprano, coro e orchestra
    Gloria
    Laudamus te
    Domine Deus
    Domine fili unigenite
    Domine Deus, Agnus Dei
    Qui sedes ad dexteram patris

    Data di composizione
    1959
    Prima esecuzione
    Boston, 21 gennaio 1961
    Direttore
    Charles Munch
    Boston Symphony Orchestra
    Soprano
    Adele Addison
    Organico
    Coro, Soprano,
    Ottavino, 2 Flauti, 2 Oboi,
    Corno inglese,
    2 Clarinetti,
    Clarinetto basso, 2 Fagotti,
    Controfagotto,
    4 Corni, 3 Trombe,
    3 Tromboni, Tuba,
    Timpani, Arpa, Archi

     

    Il Gloria di Poulenc
    Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

    Per capire il Gloria bisogna ricordarsi chi era Poulenc prima del 1936, prima cioè di quando la morte improvvisa di un amico caro avvicinò il compositore alla fede cattolica, trasformandolo nel prolifico creatore di musica sacra che firmò le Litanies à la Vierge Noire (1936), la Messa in sol (1937), i Quatre
    motets pour un temps de pénitence (1969), l’Exultate Deo (1941), il Salve Regina (1941), lo Stabat Mater (1950), i Quatre motets pour le temps de Noël (1952)e dunque il Gloria (1959).

    Poulenc era stato il compositore autodidatta che dell’assenza di una formazione accademica aveva fatto il punto di forza per una curiosità e una voracità allegra ed onnivora. Senza i freni inibitori che si acquisiscono normalmente frequentando i Conservatori, Poulenc si era trovato particolarmente a suo agio nel Gruppo dei Sei che faceva scalpore nella Parigi degli anni Venti, rapido nel seguire gli esempi irriverenti del Satie che scriveva i Tre pezzi in forma di pera, pronto nel collaborare con Jean Cocteau e con il suo teatro dell’assurdo. Capace di spaziare dalla colonna sonora alla musica da camera, di creare un’opera surrealista come Les mamelles de Tirésias ma anche di manifestare il suo amore per la musica barocca nel Concert champêtre per clavicembalo e orchestra, Poulenc aveva un’idea vitale, persino vitalistica della musica e prediligeva l’invenzione alla ripetizione, la sorpresa alla prevedibilità formale. Le citazioni di musica altrui, i prestiti, lo scorrere a piacimento il catalogo della storia della musica dal canto gregoriano al burlesque non erano per lui ammiccamenti, doni segreti per ascoltatori preparati, ma piuttosto manifestazioni d’affetto, che segnarono tutta la sua carriera e non soltanto gli anni giovanili, quando è più frequente che i compositori si appoggino al repertorio esistente nell’affinare le proprie armi e forgiare il proprio stile: le sue tarde Sonate per clarinetto e per oboe, ad esempio, evocano coscientemente le qualità distintive di Prokof’ev e di Honegger, senza per questo rinunciare ad essere fortemente tipiche del suo stile. Come Stravinskij, Poulenc sapeva cogliere qui e là ciò che di volta in volta gli serviva, sempre, beninteso, con la grazia e l’allegria di chi ama, non di chi rapina.

    Sono dati che vanno tenuti presenti nell’avvicinarsi al suo Gloria perché, per certi versi, qui si tratta di una appropriazione non di caratteri musicali altrui ma del testo stesso, dell’idea del Gloria di una messa latina da applicare alla propria musica. Verrebbe da dire che Poulenc non ha messo in musica il testo sacro ma ne ha utilizzato il suono, il ritmo, aggiungendoli alla propria paletta sonora. Si ascolti dove cadono gli accenti, ad esempio: quel Gloria in èxcelsis Deò, quei Benedicimùs te che fecero storcere il naso a certa critica, guadagnando al compositore accuse di irriverenza. Lui reagì con l’intelligenza e con la delicatezza che gli erano proprie, rispondendo: “Nello scrivere ho semplicemente pensato a quegli affreschi di Bozzoli nei quali gli angeli tirano fuori la lingua e anche a quei seri monaci benedettini che un giorno sorpresi a giocare a pallone”.

    Una buona dose di spregiudicatezza investe anche gli interventi del soprano nella terza e nella quinta sezione, che presentano all’ascolto melodie splendide ma spigolose, con intervalli pericolosamente ampi, nei quali il testo si inserisce talora più come ornamento che come motore primo; e di una continua
    sorpresa bisogna parlare per la quarta parte, che non arriva a un minuto e mezzo di durata, dove si alternano una piccola serie di brevi melodie, sapientemente incastrate, e tutto si può temere tranne che di annoiarsi. Accade così anche nel Qui sedes ad dexteram patris, la cui conclusione è del tutto imprevedibile: a dare un colore inatteso all’Amen finale, quasi ad esplorarne le diverse possibilità di intonazione, dopo le precedenti affermazioni perentorie del coro e dell’orchestra, il brano infatti scarta di lato e affida al solista una melodia sinuosa (ripresa dalla Messa in sol) che inviterà il coro a una conclusione sussurrata, inimmaginabile dopo ciò che si era ascoltato pochi istanti prima. Come quasi sempre nella sua produzione, dunque, anche nel Gloria la destinazione sacra non trasforma la musica in veicolo della preghiera, taxi per il testo: è la musica stessa ad assumere su di sé la funzione religiosa, e lo fa in modo potente e bellissimo, con una forza di fronte alla quale è difficile rimanere indifferenti.

     

     

    Wolfgang Amadeus Mozart
    Sinfonia in re maggiore K. 385 “Haffner”
    Allegro con spirito
    Andante
    Minuetto
    Presto

    La Sinfonia “Haffner” di Mozart

    Data di composizione
    Luglio 1782
    Prima esecuzione
    Vienna 1783
    Organico
    2 Flauti, 2 Oboi,
    2 Clarinetti, 2 Fagotti,
    2 Corni, 2 Trombe,
    Timpani, Archi

     

    No, non era il momento giusto per chiedere a Mozart di scrivere una nuova Sinfonia. Ormai trasferitosi a Vienna, in quel luglio del 1782 doveva seguire le rappresentazioni del Ratto dal serraglio, dare lezioni agli allievi che si succedevano con regolarità, rispondere a commissioni di musica di ogni tipo e occuparsi del proprio matrimonio con Costanza Weber. Ma fu in quel frangente che ricevette una lettera dal padre, al quale non poteva certo opporre un rifiuto. Una lettera che proveniva da Salisburgo e che riportava Mozart alla sua vita precedente e alla amicizia con la famiglia Haffner, alla quale era molto legato – i suoi due viaggi in Europa, per dirne una, sarebbero stati senz’altro più ardui senza le lettere di presentazione che il ricco mercante Sigmund Haffner aveva preparato per lui e per il padre.

    Per gli Haffner, dopo la morte di Sigmund, Mozart aveva già composto un lavoro: la festa in giardino che il 29 luglio 1776 accolse gli invitati al matrimonio della figlia Liserl con lo spedizioniere Franz Xaver Späth fu infatti rallegrata dalle note della Serenata Haffner che il fratello della sposa, Sigmund anche lui, aveva commissionato a Wolfgang.

    Questa volta, sei anni dopo, c’era altro da festeggiare: Sigmund aveva ricevuto un titolo nobiliare – aggiunse infatti al proprio nome un “von Imbachhausen” – e voleva un’altra partitura di Mozart.

    “Adesso ho mica poco da fare” – scrisse il compositore al padre, cercando di fargli capire la situazione. “Entro otto giorni la mia opera deve essere trascritta per strumenti a fiato: se no lo fa qualcun altro e si piglia lui il profitto, in vece mia. E adesso devo anche fare una nuova sinfonia! Come faccio? Lei non ha
    idea quanto è difficile trascrivere qualcosa per strumenti a fiato… Basta, dovrò lavorare la notte, altrimenti non ce la faccio, e va bene, sia fatto questo sacrificio per lei, mio caro padre. Con ogni posta lei riceverà sicuramente qualcosa, lavorerò il più presto possibile, e cercherò anche – nella misura in cui la fretta me lo consenta – di scriver bene”.

    La cosa interessante è che, per la prima stesura di questo lavoro destinato al pubblico di Salisburgo, Mozart teoricamente lavora a una Sinfonia ma in realtà segue ben altro schema formale: quella che manda al padre tra il 27 luglio e il 7 agosto non è la Sinfonia “Haffner” così come la conosciamo oggi ma sostanzialmente un’altra Serenata, con una Marcia introduttiva e due Minuetti. Solo diversi mesi dopo Mozart decise di eseguire la Sinfonia a Vienna, e chiese al padre di fargli avere la partitura, della quale non possedeva copia. Dopo averla riletta, Mozart scrisse al genitore: “La nuova Sinfonia ‘Haffner’ mi ha proprio sorpreso; non mi ricordavo niente. Deve aver fatto certamente un buon effetto”. Ma dalla sorpresa bisognava passare al pubblico, adeguando la partitura al gusto viennese, che non apprezzava la leggerezza disinvolta della musica gradita a Salisburgo. Mozart eliminò dunque le marce che aprivano e chiudevano il tutto e cassò uno dei Minuetti; arricchì poi anche l’orchestrazione, con una serie di raddoppi che impiegavano ora anche due flauti e due clarinetti, sebbene soltanto nei movimenti estremi.

    Come ha voluto ricordare Michael Steinberg, il gesto creativo più interessante, tuttavia, fu l’eliminazione del ritornello alla fine dell’esposizione, nel primo movimento, laddove il pubblico era abituato a risentire i temi per familiarizzare con loro e poi seguirne gli sviluppi. Bene: qui del ritornello non c’era bisogno. Nella “Haffner,” infatti, Mozart rinunciava alla consueta ricchezza di materiale tematico che aveva sino ad allora costituito una delle sue cifre per adeguarsi al rigore, all’intensità contrappuntistica sviluppati da Haydn e ormai richiesta dal gusto viennese: non c’era necessità di un ritornello perché tutta la Sinfonia deriva dal primo tema, che non è virtualmente mai assente dalla partitura e di fronte al quale nessun altro motivo musicale presente è paragonabile per nettezza e intensità. Non si pensi che questo possa portare ad affaticare l’ascoltatore: al contrario, l’Allegro con spirito della “Haffner” è travolgente, vuoi per la natura stessa del tema (unisoni drammatici, salti di ottava, trilli, abbellimenti pieni di vita) vuoi per il ritmo delle frasi, scandite in gruppi di battute asimmetrici, che danno un’impressione di velocità, di pressione in avanti.
    L’Andante e il Minuetto servono poi a rilassarsi, dopo un’avventura d’ascolto così intensa, mentre un tono effervescente ritorna nel breve Presto finale che, memore dell’iniziale destinazione occasionale del lavoro, riesce a spargere brio spumeggiante sulle grate orecchie del pubblico.

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