Antonio Pappano: Beethoven, Sinfonia n. 5 op. 67

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    AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Sala Santa Cecilia
    Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

     

    Sir Antonio Pappano Direttore

     

    Ludwig van Beethoven
    (Bonn 1770 - Vienna 1827)

    Sinfonia n. 5 in do minore op. 67
    Allegro con brio
    Andante con moto
    Allegro
    Allegro. Sempre più allegro. Presto

    Data di composizione
    1804-1808
    Prima esecuzione
    Vienna,
    Theater an der Wien
    22 dicembre 1808
    Dedica
    Principe Joseph Lobkowitz e
    Conte Andreas Rasumovsky
    Organico
    Ottavino, 2 Flauti,
    2 Oboi, 2 Clarinetti,
    2 Fagotti, Controfagotto,
    2 Corni, 2 Trombe,
    3 Tromboni, Timpani, Archi
    Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia

     

    La Quinta Sinfonia di Beethoven

    Non è del tutto corretto affermare che la Sinfonia n. 5 di Beethoven inizia con tre note brevi seguite da una più lunga a distanza di una terza minore. Questi sono i suoni. L’incipit più conosciuto dell’intera storia della musica è preceduto da un istante di silenzio. Non il silenzio che si crea prima di attaccare un qualsiasi brano musicale, ma un preciso, brevissimo, momento di vuoto temporale che precede il Big Bang della creazione beethoveniana. Tecnicamente parlando, è una pausa di un ottavo, che sul pentagramma si scrive con un segno simile a un piccolo 1 o a un 7 e che troviamo puntualmente in apertura della partitura della Quinta Sinfonia.
    Se ascoltiamo un disco è difficile percepire quest’attimo, ma se siamo in una sala da concerto possiamo forse coglierlo in quel respiro infinitesimale che accompagna il gesto imperioso con cui il direttore dà l’attacco all’orchestra. Il suono “dovrebbe” arrivare con una frazione di ritardo. Molto dipende dall’acustica della sala, naturalmente, e molto anche dalla nostra prontezza a cogliere l’immediato (un esercizio che allunga la vita, decisamente). E molto, infine, dai direttori, ognuno dei quali ha sviluppato il proprio metodo per attaccare senza problemi la “Quinta”.

    Se questo inciso possiede quella potenza d’impatto che tutti conosciamo è anche per quel momento di vuoto che rilascia, come uno scatto a molla, quei tre suoni che vanno a cadere pesantemente sul quarto suono che è anche più lungo. Lo stesso accade per l’inciso successivo, che osserva l’identica figurazione ritmica, ma con altezze diverse (varia l’armonia) e con una durata maggiore della nota d’arrivo. Sarà così per molte altre volte (non tutte) in cui ricomparirà questo inciso, che è il principio generatore dell’intera Sinfonia, ma da qui in poi davvero non potremo più avvertire il suo vuoto silenzioso (se non nel momento della “ripresa”) perché sarà coperto e nascosto dalle maglie della scrittura polifonica.

    Se ci siamo permessi di puntare il microscopio su un dettaglio di questa Sinfonia è perché ci troviamo di fronte a un monumento su cui qualunque informazione storica, qualunque osservazione critica, qualunque analisi formale cadrebbe inevitabilmente sul già detto e già scritto su una musica che ci sembra di conoscere da sempre e che non chiede altro se non d’essere semplicemente ascoltata. Anche perché, con il tempo, la “Quinta” è diventata essa stessa l’illustrazione sonora del Beethoven icona pop, con lo sguardo torvo e minaccioso sotto la massa scarmigliata dei capelli, assorto in cupi pensieri sui massimi sistemi. Come ricordava spesso Pierluigi Petrobelli, Beethoven era anche un uomo capace di ridere, di esprimersi con sarcasmo e magari anche di scivolare nel terreno di una rustica volgarità. Ne abbiamo esempi anche nella sua musica. D’accordo, non è il caso della Quinta Sinfonia, sulla quale non di meno grava il solito cocktail di luoghi comuni e trivialità che affliggono le opere che assurgono a livelli di popolarità incontrollabili. Tra questi, il più insopportabile è quello che la dipinge come la Sinfonia “del Destino”. Tutto sembra sia partito da una testimonianza dell’amico Anton Schindler che, interrogando Beethoven su quale fosse il significato del primo tema dell’Allegro si sarebbe sentito rispondere: “Così batte il Destino alla porta”. Aneddoto perfetto per l’immaginario romantico, che lo ha generosamente coltivato e tramandato fino a noi. Ma è fuorviante, oltre che probabilmente falso. Non si capisce perché mai il Destino debba bussare alla porta. Il Destino, quando arriva, non chiede permesso. Ma soprattutto, Beethoven quando si interroga sul Destino, lo fa con ben altro spessore, intellettuale e morale. E fa di tutto per comunicarlo chiaramente anche in musica: basti pensare al tormento che accompagna le ultime pagine dell’ultimo Quartetto per archi (op. 135), dove l’autore scrive esplicitamente in partitura la domanda “Muß es sein?” (Deve essere?), e come in un dialogo con se stesso si risponde: “Es muß sein!” (Deve essere!). Nella Quinta Sinfonia Beethoven mette a punto l’essenza della lezione di Haydn: costruire una forma musicale a partire da elementi strutturali minimi (una formula ritmica, una cellula melodica, e così via). Più il materiale di base è semplice, più si presta ad essere elaborato. La Sinfonia n. 88 in sol maggiore di Haydn, per non citare che un esempio, è costruita in questo modo. Ciò che Beethoven aggiunge alla lezione del Maestro è il sostrato filosofico del suo tempo, che non sapremmo render meglio che con le parole usate da Giovanni Carli Ballola nel suo ormai “classico” lavoro sul compositore di Bonn: «In nessun’altra opera della maturità Beethoven seppe tradurre con più esemplare evidenza in valori musicali assoluti la carica dei contenuti del suo individualismo eroico, tutto teso nell’esaltazione di un umanesimo nutrito di principi etici kantiani». E il riferimento è qui alla cosiddetta «“dialettica degli opposti”, mutuata dalle antinomie kantiane, che risulterà dal conflitto tra il “principio di opposizione” e il “principio implorante” che governano i meccanismi della forma sonata».

    Per la cronaca, Beethoven cominciò a lavorare alla Sinfonia n. 5 in do minore op. 67 nel 1805 contemporaneamente alla Sinfonia “Eroica”, anche se alcune idee risalgono addirittura a dieci anni prima. Abbozzati i primi due movimenti, la abbandonò per dedicarsi a un nuovo lavoro che sarebbe diventato la Sinfonia n. 4, per poi riprenderla e portarla a compimento solo nel 1808.

    Per avere un’idea di cosa fosse un concerto all’epoca di Beethoven, infine, può essere interessante considerare che quando fu eseguita per la prima volta, il 22 dicembre di quell’anno al Theater an der Wien di Vienna sotto la direzione dell’autore, la serata comprendeva anche la Sinfonia n. 6, la Fantasia per pianoforte, coro e orchestra op. 80, il Concerto per pianoforte e orchestra in sol minore (il Quarto) e alcuni brani dalla Messa in do maggiore op. 86.

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