Tugan Sokhiev: Prokof’ev Sinfonia Concertante op. 125, Giovanni Sollima violoncello
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Sala Santa Cecilia
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore
Tugan Sokhiev
Violoncello
Giovanni Sollima
Sergej Prokof’ev
(Sonzovka 1891 - Mosca 1953)
Sinfonia Concertante in mi minore
per violoncello e orchestra op. 125
Andante
Allegro giusto
Andante con moto (Tema con variazioni)
Data di composizione
1950-1952
Prima esecuzione
Mosca,
18 febbraio 1952
Orchestra Giovanile di Mosca
Direttore
Sviatoslav Richter
Violoncello
Mstislav Rostropovič
Organico
2 Flauti, 2 Oboi,
2 Clarinetti, 2 Fagotti,
4 Corni, 2 Trombe,
3 Tromboni, Basso Tuba,
Timpani, Tamburi,
Tamburino, Triangolo,
Piatti, Grancassa,
Celesta, Archi
La Sinfonia Concertante di Prokof ’ev
Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
La Sinfonia Concertante op. 125 di Prokof’ev per violoncello e orchestra (il titolo originale, tradotto letteralmente, sarebbe Sinfonia-Concerto), è in realtà una profonda revisione del Concerto op. 58 per violoncello e orchestra scritto da Prokof’ev fra il 1934 e il 1938. La storia di questo capolavoro del repertorio violoncellistico coinvolge, oltre all’autore, due illustri musicisti russi: il violoncellista Mstislav Rostropovič ed il pianista Sviatoslav Richter (che, in veste di direttore, ne eseguì la prima assoluta).
Prokof’ev non suonava il violoncello e quindi per lui iniziava una nuova esperienza, inoltre conosceva poco il mondo musicale sovietico – nel quale era da poco ritornato dopo 15 anni di volontario esilio, trascorso parte in America e parte in Europa – e non comprendeva i gusti sovietici sulla musica contemporanea. Nel 1938 il Concerto op. 58 per violoncello e orchestra era stato terminato ed affidato a Lev Berezovskij, che per anni era stato il primo violoncello nelle orchestre del Persimfans (primo complesso musicale senza direttore) del Teatro Bol’šoj e dell’Orchestra di Stato dell’URSS. Così Sviatoslav Richter ricorda il suo primo incontro con Prokof’ev nella seconda edizione del libro “S. S. Prokof’ev Materiali, documenti, ricordi, Mosca 1961” (pubblicato in italiano sul sito www.neuhaus.it):
“Quando nel 1938 fu composto il Concerto per violoncello [op. 58, ndr] di Prokof’ev, mi chiesero piuttosto inaspettatamente di provarlo con il violoncellista Berezovskij. Lo considerai un lavoro di routine, per guadagnare qualcosa. Andai a provare da Berezovskij nel vicolo Krivokolennyj, al sesto piano, per due mesi... Quando andammo a far sentire il concerto a Prokof’ev, ci aprì lui stesso la porta e ci introdusse in una stanzetta color giallo canarino... Berezovskij sembrava terribilmente confuso. Probabilmente per questo Prokof’ev non parlò molto con lui dell’esecuzione ma si sedette al piano e cominciò a mostrargli esattamente come andava suonato: questo è così e quest’altro in questo modo… Io stavo in disparte, completamente “fuori scena”. Prokof’ev era preciso, ma non cordiale... Lui voleva semplicemente ciò che lo spartito richiedeva, niente di più... Non potei sedermi al pianoforte neanche una volta, e me ne andai. Berezovskij provò il Concerto sotto la direzione di Melik-Pašaev... Andai alla prima e sedetti nell’anfiteatro. Mi nascosi in un angolo, ed ero nervoso. Per il pezzo, e anche per Berezovskij, naturalmente. Durante l’esecuzione, per così dire, gli mancava la terra sotto i piedi. Melik-Pašaev staccò dei tempi molto scomodi e per di più sbagliati. Fu un fiasco completo. Ringraziarono a casaccio, e così tutto finì”.
In seguito Rostropovič raccontò che dopo l’esecuzione, Prokof’ev entrò nel camerino di Berezovskij e Melik-Pašaev: i due aspettavano in silenzio come condannati alla sedia elettrica. E quando il direttore chiese: “Com’è andata, Sergej Sergeevič?”, Prokof’ev sorrise e disse: “Peggio non poteva andare”. Dopo aver corretto alcuni dettagli, Prokof’ev inviò il Concerto al violoncellista di origine russa Grigorij Pjatigorskij il quale lo eseguì all’estero nel 1940, sempre senza successo. Dopodiché per 9 anni nessun violoncellista affrontò più quest’opera sfortunata, finché nel 1947 un ventenne Rostropovič (che frequentava allora i corsi di perfezionamento del Conservatorio di Mosca) decise di eseguirlo con il pianoforte al posto dell’orchestra. Racconta Rostropovič stesso di avere suonato il Concerto op. 58, “superandone a fatica le complessità”, il 21 dicembre 1947 nella Sala Piccola del Conservatorio alla presenza dell’autore. Poco dopo Prokof’ev compose una Sonata per violoncello e pianoforte [op. 119 in do maggiore ndr], e chiese al duo Rostropovič-Richter di eseguirla. Contemporaneamente il compositore decise di riprendere il lavoro sul Concerto con l’assistenza del valoroso violoncellista, e qui di nuovo diamo la parola al divertente racconto che ne fa Sviatoslav Richter:
“Rostropovič, dopo la nostra esecuzione della Sonata, si affezionò moltissimo a Prokof’ev... Osservandoli insieme, si poteva scambiarli per padre e figlio, tanto si assomigliavano... Lui e Prokof’ev realizzarono insieme la seconda versione del Concerto op. 58, che divenne la Sinfonia Concertante. Non si sapeva però chi avrebbe diretto l’orchestra.
Io avevo un dito rotto nella mano destra e poco prima avevo eseguito il Concerto per la mano sinistra di Ravel. Il dito rotto mi aiutò a decidermi ad intervenire come direttore accompagnatore. Kondrašin mi diede qualche lezione. Prokof’ev era molto contento e disse semplicemente: “Bene, suonate”, e noi iniziammo le prove... Durante le prove, nonostante l’atteggiamento benevolo ed attento da parte dei professori dell’Orchestra Giovanile di Mosca, non si riuscì ad evitare qualche conflitto... La parte del solista, di una difficoltà e novità inaudite, suscitava presso i violoncellisti una incontenibile ilarità. Kondrašin stava in mezzo all’orchestra e con il suo tipico sguardo immobile seguiva il mio gesto. Di prove ce ne furono solo tre, e a malapena riuscimmo a prepararci. Con Rostropovič ci mettemmo d’accordo così: qualsiasi cosa fosse successa, nelle pause mi avrebbe sorriso amichevolmente per sostenere il mio spirito. Scherzi a parte, un’impresa assai pericolosa! Prokof’ev non assistette alle prove... Venne direttamente all’esecuzione. Quando entrai in palcoscenico provai un senso di gelo. Guardai, e il pianoforte non c’era … Dove dovevo andare?... E … inciampai contro il podio. La sala sussultò inorridita. Inciampare mi fece passare di colpo la paura. Risi tra me e me (‘che soggetto!’) e mi calmai. Fummo accolti da un applauso immenso. Gli applausi in anticipo mi irritavano. Rostropovič continuava ad inchinarsi, e il pubblico non ci lasciava iniziare … Ma la cosa che più di tutto temevo, non accadde: l’orchestra attaccò con precisione. Il resto passò come in un sogno. Alla fine eravamo sfiniti dalla tensione, non potendo credere che ce l’avevamo fatta a suonarlo. Perdemmo talmente la testa che non invitammo Prokof’ev a salire sul palco: ci stringeva le mani da sotto, dalla sala... In camerino saltavamo dalla gioia. Comunque, nell’insieme, il Concerto non ebbe un vero successo. ‘Ora sono tranquillo. Ora c’è un direttore anche per le altre mie composizioni’, disse Prokof’ev. Come al solito, affrontava la situazione in modo pratico”.
Qualche dettaglio del lavoro dei due musicisti lo apprendiamo dall’articolo del violoncellista, dai suoi racconti e dalle interviste. Prokof’ev chiese a Rostropovič di segnalargli tutte quelle opere per violoncello che, “indipendentemente dal loro livello”, contenessero tecniche innovative sull’uso dello strumento. “Gli portai Popper, Davydov ecc.... Scherzando, dopo aver studiato per un po’ di tempo queste composizioni, mi disse: ‘Che musichette mi avete portato!’” I passi più difficili furono composti a tavolino, senza pianoforte. Il compositore indicava subito gli strumenti da usare in orchestra, così che lo spartito diventava a 5-8 righe: in sostanza la partitura era quasi pronta. Nella strumentazione cercava sempre la “trasparenza” della sonorità, usando il minimo necessario degli strumenti. Il violoncellista racconta anche della straordinaria immaginazione di Prokof’ev che veniva messa in moto dalle sonorità dei singoli strumenti. Così, ad esempio, parlando delle note molto basse suonate pianissimo dalla tuba, disse scherzando una volta che gli ricordavano dei grossi calabroni e che gli veniva voglia di afferrarli cautamente con la mano per spostarli.
Durante le prove i professori d’orchestra protestavano a causa delle difficoltà. Alcuni violoncellisti pregarono l’autore di scrivere, per alcuni passaggi, delle varianti più facili. Prokof’ev disse che questo si sarebbe potuto fare ma nello spartito avrebbe scritto non “ossia”, ma “facilitazione”. E spiegò al meravigliato Mstislav: “Spero che i musicisti più coscienziosi non suonino le varianti facilitate”.
In una intervista Rostropovič raccontò che durante questa difficile rielaborazione della partitura, Prokof’ev gli disse: “Le sue idee deliranti non si sarebbero mai realizzate se non ci fosse stata la mia impeccabile tecnica compositiva”.
L’insuccesso del Concerto non scoraggiò Prokof’ev: seguì i consigli degli amici, semplificò parzialmente l’orchestrazione, fece alcuni tagli, soprattutto nelle cadenze del solista, ma rinforzò la funzione dell’orchestra.
La struttura della Sinfonia Concertante è tutt’altro che tradizionale. Ognuno dei tre movimenti è segnato da grande varietà e ricchezza tematica.
Il primo movimento è una sorta di introduzione lirico-epica. Il secondo movimento è la parte più rilevante della composizione, qui sono concentrati i principali “avvenimenti” dell’azione musicale. Nella parte centrale colpisce la nostra attenzione una lunga melodia di larghissimo respiro, tipicamente russa, in cui si alternano momenti cupi con altri danzanti e bonari. La qualità principale rimane comunque l’energia, l’attivismo, la dinamicità.
Il finale, ricco di netti contrasti, rappresenta non solo la conclusione dell’intera composizione, ma anche la continuazione delle tematiche del secondo movimento. È incentrato su due temi che nello sviluppo vengono variati al punto tale da poter essere definiti quasi doppie variazioni in sequenza tripartita. Il primo tema si ispira ad un racconto epico, che trasformandosi assume carattere danzante, mentre il secondo assomiglia alla nota canzone bielorussa “Statevi bene”. Si tratta di un brano pervaso di quell’ironia un po’ acida, tipica di Prokof’ev, che si realizza con una strumentazione ricca di sonorità dissonanti e stridenti. Verso la fine all’improvviso ricompaiono “evocazioni” sinistre, dure, grazie al particolare uso degli ottoni e di intervalli di seconda nella parte solistica. Al termine compare un climax che culmina nella parte del violoncello, creando una sensazione di grande disperazione (Gennadij Roždestvenskij definiva “tragico” questo finale).
La prima esecuzione in Occidente della versione definitiva ebbe luogo il 9 dicembre 1954 a Copenhagen con l’Orchestra della Radio Danese.