Diego Matheuz: Villa-Lobos Concerto per arpa e orchestra, Letizia Belmondo arpa

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    Dall’Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Diego Matheuz direttore
    Letizia Belmondo arpa

    Heitor Villa-Lobos (1887-1959)
    Concerto per arpa e orchestra (1953)
    Allegro
    Andante moderato - Molto lento - Andante
    Scherzo - Cadenza
    Allegro

     

    Un concerto alla brasiliana
    Tratto dal libretto di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    In una classe di Conservatorio ci era anche stato; ma Heitor Villa- Lobos non era proprio tipo da imparare alla perfezione lo stile di Palestrina e compagni. I suoi cromosomi culturali gridavano l’appartenenza a un mondo diverso, più selvaggio. La sua aula di Conservatorio era la strada, con i suoi rumori, i suoi canti smodati e penetranti, la sua forza espressiva incapace di fare lunghi giri di parole. Furono i suonatori ambulanti di Rio de Janeiro a insegnargli la loro tecnica chitarristica. Furono gli anziani abitanti delle campagne brasiliane a iniziarlo alla melodia folklorica, alle radici di un emisfero culturale da sempre relegato ai margini del sistema musicale. In un mondo in cui i teatri erano “all’italiana”, i balletti “alla francese”, le società di concerti “all’inglese” e le forme della musica improntate alla tradizione classica viennese, chi non si identificava in quel canone era costretto ad andare a scavare nei tesori della propria terra. E cosi fece Villa-Lobos all’inizio del Novecento, taccuino alla mano, andando in giro per il suo Brasile. Raccolse centinaia di canzoni indigene, senza però dimenticare in nessun momento i massimi riferimenti della cultura occidentale: proprio come accade in quei bar di periferia, dove tutto si mescola di fronte a un bicchiere di rum e un tavolo da biliardo. Villa-Lobos amava quel mondo; non sapeva vivere negli ambienti che puzzano di intellettualismo posticcio; per lui la musica era un’esigenza dell’uomo, di qualsiasi uomo, non un’artificiosa costruzione da rinchiudere tra le mura pregiate di una sala da concerto.

    Il Concerto per arpa (composto nel 1953, proprio l’anno della Decima sinfonia di Šostakovicˇ ) è senza dubbio figlio di quel pensiero artistico. L’ossequio nei confronti della tradizione centroeuropea si sente a tratti nei modi contenuti dell’armonia; ma fin dai primi accordi dell’Allegro iniziale Villa-Lobos dimostra di infischiarsene dei problemi formali e sintattici di mezzo secolo. L’arpa entra in scena subito con i suoi colori esuberanti, cedendo all’orchestra il compito di disegnare temi caldi e luminosi. L’Andante moderato prosegue lasciandosi cullare da quell’indefinibile sentimento di lontananza dal ventre materno che i sudamericani chiamano saudaji: gran parte della responsabilità si deve alla scrittura dell’arpa che sfodera una sonorità quasi chitarristica nei momenti in cui accompagna le voci isolate dei fiati. Nello Scherzo prende coraggio tutto il fervido vitalismo di Villa-Lobos: la partitura si trasforma in una realtà imprevedibile, fatta di slanci lirici, visioni sfuggenti, episodi grotteschi; senza però soffocare in alcun momento il timbro argentato dell’arpa, protagonista sul finire di un episodio solistico che ha il sapore esotico dei cocktails sorseggiati al chiaro di luna. Chiude la composizione un Allegro che sintetizza bene il senso di tutto il Concerto: spazio alle melodie lineari come un canto popolare senza offuscare il timbro luccicante dello strumento solista.

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