Manfred Honeck: Strauss, Frühlingsstimmen - Mjaskovskij, Concerto per violoncello. Mario Brunello violoncello
Auditorium Parco della Musica di Roma
Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Manfred Honeck direttore
Mario Brunello violoncello
Johann Strauss Jr.
(Vienna 1825 – 1899)
Frühlingsstimmen (Voci di primavera) Valzer op. 410
Nikolaj Mjaskovskij
(Novogeorgievsk, Varsavia 1881 – Mosca 1950)
Concerto per violoncello e orchestra in do minore op. 66
prima esecuzione nei concerti di Santa Cecilia
Le musiche in programma
di Piero Rattalino
Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Johann Strauss Jr.
Frühlingsstimmen (Voci di primavera) Valzer op. 410
Anno di composizione: 1885
Prima esecuzione: Vienna, Theater an der Wien, 11 gennaio 1886
Organico: ottavino,
Flauto, 2 oboi, 2 Clarinetti,
2 Fagotti, 4 Corni,
2 Trombe, 3 Tromboni,
Timpani, Percussioni,
Arpa, Archi
Voci di primavera di Johann Strauss
Nel periodo che precede la Rivoluzione del 1848 e che è detto convenzionalmente del Vormärz (“prima di marzo”, di marzo, appunto, del ‘48) si attuò la netta separazione fra la musica seria e la musica leggera, fra la musica che si autostoricizzava e la musica di consumo. Si crearono così due campi contrapposti con reciproche diffidenze e reciproche esclusioni. Un solo grande esponente
della musica leggera fu ammirato dai musicisti dell’altro versante, Johann Strauss junior. Quando la moglie di Strauss chiese a Brahms di autografarle il ventaglio - era una moda della belle époque che ritroviamo nella Vedova allegra - il grande compositore “serio” traccio le prime note del valzer Il Bel Danubio blu e scrisse sotto: “Purtroppo non di Johannes Brahms”. Era come una patente di nobiltà.
E il Bel Danubio blu regna ancora indisturbato su tutti i Valzer di Strauss, ma intorno al suo trono stanno, come alti dignitari, il Valzer dell’Imperatore, le Storielle del bosco viennese, Vino, donne e canto e Voci di primavera. Quest’ultimo, che porta il numero d’opera 410, fu composto nel 1885 e in origine era per soprano e orchestra. Era stato infatti commissionato dalla cantante Bianca Bianchi, che lo presentò in prima esecuzione al Teather an der Wien (il testo era di Richard Genee). La versione più comunemente nota è quella sinfonica ma si possono trovare in rete esecuzioni di famosi soprani leggeri del tempo che fu, come Marcella Sembrich o Luisa Tetrazzini, che sciorinano a profusione sopracuti, picchiettati, trilli vertiginosi. La forma, come sempre in Strauss, è
quella della collana di Valzer senza soluzione di continuità e con una presenza architettonicamente più significativa del primo Valzer. In questo caso, al contrario di quanto avviene solitamente con Strauss, non c’è l’introduzione preparatoria: si comincia con quattro perentorie battute che sembrano la fine e si entra al volo in medias res, restando subito storditi dallo splendore melodico dei vivacissimi temi.
Nikolaj Mjaskovskij
Concerto per violoncello e orchestra in do minore op. 66
Lento ma non troppo
Allegro vivace
prima esecuzione nei concerti di Santa Cecilia
Anno di composizione: 1944
Prima esecuzione: Mosca, 17 marzo 1945
Violoncello: Sviatoslav Knushevitsky
Organico: 2 Flauti, 2 oboi,
2 Clarinetti, 2 Fagotti,
4 Corni, 2 Trombe,
Timpani, Archi
Il Concerto per violoncello di Mjaskovskij
Nato nel 1881, cioè un anno prima di Stravinskij, Nikolaj Mjaskovskij arrivò assai tardivamente alla composizione perché sostenne l’esame di iscrizione al Conservatorio di San Pietroburgo soltanto nel 1906, dopo essere stato ingegnere militare. Avendo dunque deciso di diventare musicista a venticinque anni ed essendosi diplomato nel 1911, Mjaskovskij non “emerse” nell’Europa occidentale, al contrario di Stravinskij, prima che scoppiasse il grande conflitto. E non emerse neppure negli anni Venti, al contrario di Šostakovič. La sua Sonata n. 4 per pianoforte, in verità, fu eseguita durante il Festival della Società Internazionale per la Musica Contemporanea che si svolse
nel 1927 a Zurigo e fu affidata nientepopodimeno che alle dita fatate di Walter Gieseking. Ma proprio Gieseking racconta che la composizione gli fu consegnata il giorno prima del concerto e che la eseguì dopo averci pensato ben bene sopra, sedendo su una panchina sulle rive del lago e senza toccare il pianoforte. Gieseking era un lettore a prima vista capace di simili prodezze, ma la Sonata di Mjaskovskij la suonò quell’unica volta e non la inserì nel suo repertorio.
Qualcosa di più aveva fatto Prokof’ev, che durante gli anni trascorsi negli Stati uniti aveva tenuto recital di pianoforte inserendovi alcuni pezzi brevi di Mjaskovskij e registrandone quattro per il pianoforte riproduttore. I recital pianistici furono però per Prokof’ev un gagne-pain che durò molto poco. Prokof’ev e Mjaskovskij erano legati da una amicizia nata sui banchi di scuola. Come ho
appena detto Mjaskovskij, di dieci anni più anziano di Prokof’ev, era entrato in Conservatorio molto tardi. Cito dall’autobiografia di Prokof’ev: Mjaskovskij arrivò nel Conservatorio nell’uniforme di luogotenente di un battaglione del genio, portando sotto un’ascella una grande cartella gialla. Esibiva barba e baffi. Era sempre riservato, gentile e tranquillo. La sua riservatezza era attraente e nello stesso tempo egli teneva gli altri a distanza. Aveva venticinque anni.
Mjaskovskij era nato vicino a Varsavia perché suo padre era un militare di carriera, e rampollo di una famiglia di militari (la Polonia, lo rammento a chi mi legge, era allora una provincia dell’impero zarista). Militare divenne il giovane Nikolaj, condannato “soltanto da tradizioni sociali
e familiari”, come scrisse in brevi note autobiografiche del 1936, a seguire una carriera per la quale provava “il più profondo disgusto”. Pur facendo docilmente quello che da lui esigeva la famiglia, Mjaskovskij non aveva mancato però di coltivare intensamente da dilettante - alla Musorgskij, alla Borodin - la musica. Quando gli fu finalmente consentito di entrare in Conservatorio era abbastanza addestrato in quest’arte da poter percorrere il corso di studi in un tempo relativamente breve.
E del resto, essendo sia metodico nel lavoro che rapido nell’apprendere, dopo essere entrato in Conservatorio cominciò a leggere sistematicamente al pianoforte, da solo o a quattro mani con Prokof’ev, la produzione contemporanea che non conosceva. I due giovani si appassionarono in particolare alla musica di Reger. E fu quello l’inizio di una profonda amicizia che sarebbe durata per tutta la vita e che è testimoniata anche da più di quattrocento lettere.
Negli anni Venti il nome di Mjaskovskij comparve molto saltuariamente nell’Europa occidentale e negli Stati Uniti. Il progressivo isolamento politico e culturale dell’unione Sovietica durante gli anni Trenta fece sì che la sua musica non avesse neppure più tardi alcuna diffusione internazionale. Nel 1940 la Chicago Symphony Orchestra gli commissionò la Sinfonia n. 21, che fu anche incisa in disco sotto la direzione di Ormandy, ma la guerra impedì che questo promettente inizio avesse un
seguito. Di Mjaskovskij si parlò in occidente solo nel 1948, e per un motivo molto insolito: gli fu riservato il poco invidiabile onore di essere citato nella famosa Risoluzione del Comitato Centrale del Partito Comunista che venne pubblicata il 10 febbraio: Nell’attività dell’Unione Compositori il ruolo dirigente è svolto oggi da un gruppo limitato di compositori. Si tratta dei compagni Šostakovič, Prokof’ev, Mjaskovskij, Khačaturian, Kabalevskij, Shebalin. Ammettiamo che questi compagni sono le principali figure dirigenti della tendenza formalista in musica. E questa tendenza è totalmente falsa.
Nell’elenco delle composizioni delle quali era vietata l’esecuzione, pubblicato quattro giorni dopo, figuravano soltanto tutte le Sonate per pianoforte di Mjaskovskij. Ma di fatto, a scanso di equivoci, gli organizzatori sovietici dei concerti cancellarono per un po’ di tempo dalle loro programmazioni tutta la produzione dei reprobi. Chi ascolta oggi il Concerto per violoncello di Mjaskovskij, composto negli ultimi mesi del 1944 e vincitore del Premio Stalin, non può non concludere che Andrej Zdanov, ispiratore ed estensore della violenta requisitoria del Partito, vaneggiava alla grande. Ma tant’è. La vita di Mjaskovkij fu sconvolta nelle sue fondamenta e le sue composizioni
del 1949-50 dimostrano la sua ansia di “riscattarsi” agli occhi della Nomenklatura che lo stava
riducendo in miseria perché il compositore viveva dei diritti d’autore anche nell’Unione Sovietica. Si riscattò, Mjaskovskij, con la Ventisettesima Sinfonia, alla quale fu assegnato il Premio Stalin. Che arrivò però dopo la morte del compositore, scomparso nel 1950.
In astratto, il fatto che la politica intervenisse cosi brutalmente nel campo dell’arte avrebbe dovuto provocare in Occidente un moto di simpatia e di interesse per i compositori che venivano colpiti dall’anatema. Ma l’Occidente era tutto preso dal dibattito sulla dodecafonia e nel momento in cui persino Stravinskij stava mostrando interesse per la tecnica seriale, quale solidarietà poteva mai nascere per una mezza dozzina di sgallettati formalisti russi? Prokof’ev e Šostakovič erano ben noti (e poco considerati dalla critica più in vista), di Khačaturian e di Kabalevskij si conosceva qualcosa, che non appariva stimabile, Mjaskovskij e Shebalin, illustri carneadi, restarono
carneadi.
Nel 1956 Rostropovič, durante la sua prima tournée nell’Europa occidentale, registrò a Londra, sotto la direzione di Sir Malcolm Sargent, il Concerto per violoncello di Mjaskovskij, che lasciò completamente indifferente la critica. A parlare in positivo di Mjaskovskij pensò invece Glenn Gould, che si recò nell’unione Sovietica nel 1957. Gould scoprì la Sonata n. 1 op. 6e ne parlo più tardi in una conferenza, in un modo, come al suo solito, non esente da qualche stilettata: La Prima Sonata per pianoforte di Mjaskovskij, scritta nel 1907 (Mjaskovskij, come il lettore sa, studiava allora da poco in Conservatorio), appare straordinariamente innovatrice rispetto ad altre composizioni della stessa provenienza e della stessa epoca. Il primo movimento si distingue per il suo stile fugato: un fugato mediocre, d’accordo, ma pur sempre un fugato. [...] Con lo stesso materiale del fugato Mjaskovskij costruisce tutti i movimenti della Sonata, pur abbandonando lo stile fugato propriamente detto dopo il primo movimento. L’imitazione non troppo distratta dell’ultima maniera beethoveniana, l’innegabile ricchezza tematica e il soggettivismo che sembra sgorgare direttamente dalla dolente ricerca di identità della generazione di Musorgskij fanno di questa Sonata una delle composizioni più notevoli dell’epoca.
Gould non cita Reger, ma proprio dalle letture della musica di Reger nascono secondo me i caratteri particolari di una composizione che si distacca nettamente da ciò che nel campo della Sonata per pianoforte veniva fatto in Russia, nel primo quindicennio del secolo, da Skrjabin, da Rachmaninov, da Glazunov, da Medtner, da Stravinskij, da Prokof’ev. Mjaskovskij compose musica che esulava dai compiti scolastici durante tutto il corso dei suoi studi e dopo il diploma lavorò indefessamente,
salvo che durante la guerra, quando dovette rispolverare la divisa da luogotenente e riprendere il suo antico mestiere.
Compositore indefesso, dicevo. Ma non fecondo. Quando si pensa a una produzione di ben ventisette Sinfonie nel corso di quarantadue anni (dal 1908 al 1950) si suppone inevitabilmente che il catalogo dell’autore sia fittissimo. Il catalogo di Mjaskovskij arriva invece soltanto fino al numero d’opera 86, meno del catalogo di Prokof’ev, meno del catalogo di Šostakovič. Mjaskovskij svolse in realtà anche varie mansioni che impegnavano altrimenti il suo tempo: professore di composizione nel Conservatorio di Mosca dal 1921, organizzatore del Collettivo dei Compositori negli anni Venti, membro del Comitato Sovietico per la Sezione Artistica dal 1939, redattore dal 1940 della rivista “Musica Sovietica”, editore di musiche di Čajkovskij e di Rimskij-Korsakov, autore di molti articoli pubblicati in varie riviste. Ma anche Prokof’ev e Šostakovič erano persone indaffaratissime, e quindi sembra chiaro che il barbuto Mjaskovskij dalla lunga faccia malinconica fosse un compositore che ponderava ben bene ogni nota. La sua evoluzione di artista seguì una traccia che, mutatis mutandis, ritroviamo anche in Prokof’ev e in Šostakovič. Influenze di varia provenienza nel periodo della formazione (oltre a Reger, soprattutto Čajkovskij, Strauss e Skrjabin), sperimentazioni linguistiche negli anni Venti, ritorno verso le tradizioni dell’ottocento russo, non in senso accademico ma in senso evolutivo, negli anni Trenta e Quaranta. La svolta stilistica degli anni Trenta fu sicuramente provocata dalle direttive del regime, ma nel caso di Prokof’ev e di Šostakovič, e anche di Mjaskovskij, nacque da una intima adesione ai principi di ampia diffusione sociale della musica che il regime stesso stava perseguendo e che potevano essere condivisi dagli artisti al di là del grottesco zelo burocratico con cui ne veniva sorvegliata l’applicazione.
In Mjaskovskij non viene mai meno l’interesse per il contrappunto, ma emerge sempre di più ciò che Glenn Gould chiama giustamente “la dolente ricerca di identità della generazione di Musorgskij”. Avevo detto prima che se si ascolta il Concerto per violoncello (o il Concerto per violino o le Sinfonie nn. 18-26) si stenta a credere che Mjaskovskij potesse essere definito nel
1948 “formalista”. Ma sembra a me probabile che il mefistofelico Zdanov volesse colpire in lui, più che l’artista, il “cattivo maestro”, perche Khačaturian, Kabalevskij e Shebalin erano stati allievi di Mjaskovskij, suo allievo era stato Muradeli, la cui opera La grande amicizia aveva fatto da detonatore per l’esplosione della collera di Zdanov, e Prokof’ev era per Mjaskovskij come un fratello minore.
Che cosa intendesse esattamente Zdanov per “formalismo” non è chiaro ma sembra che si trattasse per lui di un sinonimo di elitario, di anti-popolare. Se cosi è il Concerto per violoncello di Mjaskovskij è in realtà antiformalista. Solo la presenza della Cadenza del solista verso la fine del secondo movimento aggancia la composizione alla ratio del Concerto. Ma la mancanza di tensione virtuosistica e di enfasi oratoria, lo schema dei due movimenti collegati, il tono meditativo e introspettivo che largamente prevale fanno piuttosto pensare a un poema. La frase di Glenn Gould che ho prima citato è in realtà la dimostrazione di una intuizione da grande critico.
La ricerca di identità in Musorgskij e nei suoi sodali nasceva dalla contrapposizione ideologica con Anton Rubinštein che nei Conservatori di San Pietroburgo e di Mosca da lui fondati aveva introdotto il sistema didattico tedesco, pensando che dalla... forzata metabolizzazione di una grande tradizione mitteleuropea sarebbe sorta la nuova civiltà russa, mentre Musorgskij, in particolare,
perseguiva la ricerca della identità nazionale su un terreno non ancora disboscato da altri.
Nel primo movimento del Concerto di Mjaskovskij (Lento ma non troppo-Andante-Tempo I) troviamo un lungo monologo del violoncello, lirico ed elegiaco con, come breve inserto al centro, una danza popolare. Il secondo movimento inizia in modo drammatico con un tema che riprende sorprendentemente la prima cellula tematica del Concerto per violoncello di Dvořák, ma ben presto ritorna il clima che possiamo definire cecoviano e la composizione, dopo la Cadenza e la citazione del tema principale del primo movimento, termina quietamente, svanendo nel nulla. Il linguaggio non presenta alcuna difficoltà di comprensione: piano e semplice, di scrittura densa ma piacevolmente polimelodica, non severamente contrappuntistica. Il Concerto, come già detto, nacque negli ultimi mesi del 1944 e fu dedicato a Sviatoslav Knushevitsky, che ne tenne la prima esecuzione il 17 marzo 1945 a Mosca. Oggi é la composizione di Mjaskovskij più nota.