Yutaka Sado: Rimskij-Korsakov Shéhérazade - Suite sinfonica op. 35

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Direttore
    Yutaka Sado

    Nikolaj Rimskij-Korsakov
    (1844-1908)
    Shéhérazade, suite sinfonica op. 35
    Largo e maestoso - Lento - Allegro non troppo - Tranquillo
    (“Il mare e la nave di Sindbad”)
    Lento - Andantino - Allegro molto - Molto moderato - Vivace
    scherzando - Moderato assai - Allegro molto e animato - Con moto
    (“Il racconto del principe Kalender”)
    Andantino quasi allegretto
    (“Il giovane principe e la giovane principessa”)
    Allegro molto - Allegro molto e frenetico - Vivo - Allegro non troppo e
    maestoso
    (“Festa a Baghdad - Il mare - Naufragio - Conclusione”)
    Roberto Ranfaldi violino solo

     

    Il racconto e l’incanto
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Se la musica sinfonica possa, o debba, raccontare una storia, lo si può capire solo rinunciando a ogni forma di spiegazione razionale. Tutta la vicenda estetica dell’Ottocento è cresciuta attorno al dibattito tra due scuole di pensiero: da una parte coloro che ritenevano la musica una creatura troppo immateriale per essere schiacciata dal peso concreto di una vicenda fatta di cose e di persone, dall’altra i seguaci del potenziale narrativo inteso come strumento per far viaggiare l’immaginazione dell’ascoltatore. Naturalmente la ragione non stava da nessuna delle due parti; lo scontro verbale nascondeva molte analogie; e ci vollero parecchi anni perché gli schieramenti si accorgessero di essersi eretti su fondamenta comuni. Ma di fatto, mentre i teorici insistevano sulla vocazione all’inesprimibile della musica, i compositori continuavano a scrivere opere straordinarie nella loro capacità visiva di raccontare programmi e vicende articolate.

    Rimskij-Korsakov, certamente, era uno di loro; tra il 1887 e il 1888, componeva lavori sinfonici da vedere ancor prima che da ascoltare: i colori sgargianti del Capriccio spagnolo, i ricami splendenti della Grande Pasqua russa e Shéhérazade, la suite sinfonica ispirata alla celebre protagonista de Le mille e una notte. Sui principi poetici di quest’ultimo lavoro, la cui prima esecuzione avvenne il 28 ottobre 1888 a San Pietroburgo, fu lo stesso autore a intervenire: Il programma che m’ha guidato nella composizione di Shéhérazade è costituito da episodi e quadri che non hanno alcun legame tra loro: il mare, il vascello di Sindbād, il racconto fantastico del Principe Kalender, il figlio e la figlia del Re, la festa a Baghdad, lo schiantarsi del vascello sulla scogliera. Il legame lo stabilisce la musica con le introduzioni alla prima, alla seconda, alla quarta parte e all’intermezzo della terza, scritte per violino solo, che simboleggiano Shéhérazade intenta a raccontare le sue meravigliose novelle al terribile sultano. La spiegazione è perfetta: i racconti sono quattro, e il violino solo interviene con il distacco di un narratore alle prese con un uditorio rapito dal suono incantatorio della sua voce. Le singole scene sono da considerare pagine indipendenti; e i motivi conduttori, che Rimskij-Korsakov indubbiamente utilizza per legare l’intera partitura, non rappresentano sistematicamente richiami a immagini precise, ma elementi in continuo divenire che cambiano volto a seconda del contesto in cui sono inseriti. Il risultato è dunque una sorta di labirintico percorso circolare, in cui si rischia di perdere l’orientamento, esattamente come succede nelle Mille e una notte a chi pende dalla bocca di Shéhérazade, l’astuta principessa che salva la sua vita inglobando una storia nell’altra, e illudendo il sultano con la formula ricorrente: «Se continuerai ad ascoltare, saprai come andrà a finire».

    Rimskij-Korsakov cerca un effetto molto simile; i vari quadri della suite riescono nell’impresa di risultare autonomi e insieme intrecciati. È come se l’autore cercasse di trasformarsi in Shéhérazade per raccontare quattro storie che nascono una dall’altra: nessun titolo aiuta l’ascolto, solo la voce del violino interviene di tanto in tanto ricordandoci di voltare le pagine del libro. Questo, però, non vuol dire che Rimskij-Korsakov si rifiuti di portare l’ascoltatore per mano attraverso le curve del suo labirinto. Fin dal primo episodio abbiamo la chiara impressione di vedere il volto arcigno del sultano Shahriyàr nell’anatema scagliato da clarinetti, fagotti, corni e tromboni; poi prende forma il mare, l’elemento che domina in un altro capolavoro di Rimskij come Sadko, con i suoi movimenti ondeggianti, le sue liquide trasparenze timbriche, le sue vibrazioni cangianti. Siamo sulla nave di Sindbād, in viaggio alla continua ricerca di avventure e ricchezze, ma non c’è tempo per i dettagli, e le sonorità cullanti del mare non tardano a trasformarsi nel tono leggendario del successivo Andantino. Ora la principessa è riuscita a trovare un collegamento con le vicende burlesche del Principe Kalender; e la musica riesce alla perfezione, fin dal movimento capriccioso del fagotto, a restituire l’impressione di una comunità rapita che si stringe attorno al suo narratore. L’estasi è tale da non rendere necessario l’intervento del violino per introdurre l’episodio successivo; e così, senza preamboli, il discorso scivola sulla storia d’amore di Kalender con la sua principessa: un’unione sospesa nel tempo che si condensa tutta nel lirico fraseggio dei violini.

    Il quarto episodio, la festa a Baghdad, conferma quell’esigenza di generare immagini diverse a partire dallo stesso materiale melodico, che fa di Shéhérazade una partitura anomala nell’ambito del suo genere. Rimskij-Korsakov non fa come Wagner o Liszt quando lasciano ai loro Leitmotiv il compito di identificare un’immagine o un concetto ricorrente; preferisce utilizzare gli stessi temi per dire cose diverse, e ora tutte le melodie ascoltate in precedenza si trasformano in una spericolata baldoria sinfonica, in cui il collettivo domina sull’individuale. Solo un evento traumatico può interrompere la furia di tutta l’orchestra; ed ecco tuonare, con tanto di percussioni roboanti, lo schianto di una nave che si infrange sugli scogli della costa. Il disastro richiede il commento di Shéhérazade; e il violino torna a farsi sentire per l’ultima volta in tutta la sua immateriale leggerezza, confortando l’uditorio sulla natura fittizia dei racconti appena ascoltati.

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