Markus Stenz: Ravel Daphnis et Chloé

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    Auditorium Arturo Toscanini
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Markus Stenz direttore

     

    Maurice Ravel
    (1875-1937)
    Daphnis et Chloé, Suite n. 2 dal balletto (1913)
    Lever du jour - Pantomime - Danse générale

     

    La Grecia dei sogni
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    Era mia intenzione comporre un vasto affresco musicale senza occuparmi troppo di arcaismo, bensì curando di restare fedele piuttosto alla Grecia dei miei sogni che risultano assai prossimi a quella immaginata dagli artisti francesi della fine del ’700. Il lavoro è costruito sinfonicamente, secondo un piano tonale piuttosto rigoroso, per mezzo di un esiguo numero di temi i cui sviluppi assicurano l’omogeneità dell’opera.

    Ravel aveva un’idea molto precisa del suo balletto Daphnis et Chloé. Era il 1909; tutta la Parigi del tempo guardava con interesse al mondo antico; il fauno di Mallarmè aveva ridestato un fascino profondo nei confronti dell’epoca classica: qualcosa che la Francia sembrava aver dimenticato assieme a Fragonard, Watteau e agli artisti vissuti tra Sei e Settecento. Debussy pensava all’antico fin dai tempi del Prélude à l’après-midi d’un faune (1894); le Danses per arpa, le Six épigraphes antiques, Danseuses de Delphes avrebbero proseguito sulla stessa lunghezza d’onda. Ravel, invece, pur avendo inviato alla commissione del Prix de Rome cantate dai titoli arcaici (Alcyone e Myrrha ad esempio), solo in quell’anno si accostava con convinzione al tema del classicismo. In quel passato remoto gli artisti di inizio Novecento vedevano senza dubbio una forma di evasione dalle inquietudini del presente; ma nella loro estetica c’era anche lo sfogo simbolista di chi andava alla ricerca di immagini ormai oscure agli occhi dell’età moderna.

    La Grecia a cui pensava Ravel per Daphnis et Chloé era tutt’altro che autentica: un sogno a occhi aperti, puntellato senza troppa precisione a una vaga voglia di antico. Il soggetto del coreografo in forze presso la stagione dei Ballets Russes, Michel Fokine, veniva da Longo Sofista: una complessa vicenda pastorale ambientata nell’Isola di Lesbo. Dafni e Cloe si amano di un sentimento sincero e profondo; ma la loro unione è ostacolata da una lunga serie di vicissitudini rocambolesche: prima una pastorella, simile in tutto a Cloe, cerca di ingannare e sedurre l’ignaro Dafni; poi arrivano i pirati, che riescono a portarsi via la fanciulla; quindi una violenta tempesta mette a soqquadro i piani dei rapitori; e infine il ricongiungimento tra i due innamorati viene suggellato da un travolgente baccanale.

    Apollineo e dionisiaco in bella mostra, dunque: da una parte un amore purissimo, dall’altra un ambiente scosciato fatto di creature maliziose e sessualità disinibita. Ravel trasformò quella Grecia da sogno in un balletto, una delle sue opere più ambiziose fino a quel momento per estensione e per elaborazione orchestrale. La partitura fu completata nel 1912, e la rappresentazione avvenne l’8 giugno dello stesso anno al Théâtre du Châtelet, nell’ambito dei Ballets Russes, sotto la direzione di Pierre Monteux. Ma Ravel capì subito la portata sinfonica di quelle pagine nate per il teatro; e così nel 1913 realizzò le due suites tratte dal balletto.

    Un luminescente Lever du jour apre la seconda suite: tutta l’orchestra si risveglia progressivamente dal torpore della notte, riprendendo a muoversi in tutta la sua joie de vivre. Segue la Pantomime in cui i protagonisti del balletto mimano la vicenda mitica di Pan, il dio deforme incapace di trattenere le sue pulsioni erotiche: la ninfa Siringa riesce a sfuggire al fauno, facendosi trasformare in una canna di bambù; ma il vento, soffiando, fa uscire una voce melodiosa dalle fronde in cui la ninfa si è nascosta; cosi l’inseguitore si impossessa della canna, la taglia in sette pezzi di lunghezza digradante, e quindi costruisce il flauto di Pan. Il timbro dello strumento, riprodotto da una vorticosa corsa dei legni, diviene protagonista nell’ultimo movimento, Danse générale, in cui l’individuale sparisce in favore di un collettivo scatenato dai ritmi travolgenti di una festa orgiastica.

     

    Da Ravel a Chagall

    Nel 1948 l’editore francese Tériade propose a Marc Chagall di illustrare alcuni passi del mito di Dafni e Cloe. L’artista raccolse subito l’invito: la vicenda lo affascinava da sempre; avrebbe cercato l’ispirazione direttamente in Grecia. Nacquero difatti proprio sulle coste del Mar Egeo i primi schizzi di una lunga serie di litografie oggi conservate presso le Franklin Bowles Gallery di New York. Chagall disse di essere rimasto particolarmente impressionato dal colore del cielo: una suggestione destinata a trovare intense trascrizioni figurative, con contrasti decisi di blu e giallo. La serie fu pubblicata nel 1961, ma trovò un seguito nel 1964, quando Chagall scelse nuovamente Dafni e Cloe come soggetto per la cupola interna dell’Opéra Garnier di Parigi.

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