Sergio Alapont: Mozart Sinfonia 29 - Mahler Canti di un Viandante, D. Roth baritono

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Sergio Alapont direttore
    Detlef Roth baritono

     

    Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791)
    Sinfonia n. 29 in la maggiore KV 201 (186a)
    Allegro moderato
    Andante
    Minuetto - Trio
    Allegro con spirito

    Sinfonia “a mezza orchestra”
    Tratto dal programma di sala dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La Sinfonia KV 201 è l’opera di un diciottenne. La sua data di nascita risale al 1774; Mozart all’epoca era nel pieno del periodo salisburghese: anni duri trascorsi alle dipendenze dell’Arcivescovo Colloredo e delle sue polverose abitudini musicali. Il padre Leopold continuava a portarlo in giro alla ricerca di una collocazione prestigiosa; ma niente da fare, gli ultimi regnanti dell’ancien régime avevano altro a cui pensare, e i musicisti dovevano imparare a sopravvivere anche lontano dalle corti aristocratiche. Inoltre, come se non bastasse, il Mozart che aveva lasciato a bocca aperta mezza Europa con il suo straordinario talento da enfant prodige stava crescendo, e non poteva più contare sulla spettacolarità delle sue performance per incantare ogni sorta di pubblico. Mozart, in sostanza, aveva bisogno di distinguersi come compositore. In realtà lo sapeva da tempo, ma non era ancora riuscito a trovare uno spazio in cui inserirsi con prepotenza. I numerosi tentativi in ambito sinfonico lo dimostrano; basti pensare al fatto che la Sinfonia KV 201 è la ventinovesima del corpus. Colloredo lo caricava di musiche di circostanza, brani da affiancare alla liturgia della chiesa locale; ma Mozart riusciva comunque a trovare il tempo per dedicarsi, con lavori più o meno sperimentali, ai generi maggiori: ai Quartetti, alle Sonate, alle Sinfonie. Gli esiti naturalmente erano alterni: fatto inevitabile per un ragazzo che per il momento poteva solo giocare a fare l’adulto. Lo stesso Leopold, con la sua solita severità, bollava con poche parole caustiche la produzione sinfonica del figlio negli anni di Salisburgo: «Per quanto tu possa esserti divertito scrivendole, sarei ben lieto che nessuno le avesse viste». Ma questo non vuol dire che il corpus sia privo di perle preziose, di pagine che sarebbero rimaste in repertorio, preannunciando un grande talento di sinfonista: parlo della celebre Sinfonia KV 183 in sol minore, ma anche della Sinfonia KV 201, che dichiara in molti episodi una decisa insofferenza nei confronti dello stile “galante”, cioè di quella produzione all’insegna della semplicità e dell’eleganza che aveva conquistato la sensibilità del pubblico nella seconda metà del Settecento (soprattutto con autori quali Carl Philipp Emanuel Bach).

    La Sinfonia KV 201 è detta “a mezza orchestra” perché si avvale di un organico piuttosto ridotto, formato solo da archi, oboi, corni e continuo. La ristrettezza della compagine orchestrale non è tuttavia sinonimo di limitatezza espressiva, perché la composizione si fa appunto notare per una straordinaria versatilità di registri. Nel primo movimento, Allegro moderato, un primo tema che non riesce a contenere il suo slancio vitale si oppone a una seconda idea che sembra appena uscita da una compita scuola per educande; ma nello sviluppo (la sezione centrale) c’è spazio anche per qualche lato oscuro (vale a dire proprio ciò che avrebbe identificato il Mozart delle opere successive), come il turbolento disegno degli archi in tremolo. L’Andante è forse il brano meno sorprendente: i suoi modi garbati lo avvicinano alle consuetudini stilistiche della produzione galante. Mozart sembra dimenticarsi per un attimo di avere diciotto anni e scrive una pagina profondamente adulta, in cui non si avverte quella scalmanata voglia di fare che dovrebbe contraddistinguere il temperamento di un adolescente con la testa piena zeppa di idee. Ci pensa il Minuetto a riportarci gradualmente alla joie de vivre, con i suoi rintocchi su una sola nota che rivelano una propensione a sperimentare nuove soluzioni melodiche (basti pensare al finale, quasi lasciato in sospeso); ma l’immaginazione incontenibile riprende a galoppare nell’Allegro con spirito finale, che scorrazza a rotta di collo su scale, burlesche acciaccature dei violini e temi brevilinei, incorniciati da una successione di accordi seriosi come una battuta fatta senza battere ciglio.

     

    Gustav Mahler (1860-1911)
    Lieder eines fahrenden Gesellen (Canti di un viandante)
    I. Wenn mein Schatz Hochzeit macht
    II. Ging heut’ morgens übers Feld
    III. Ich hab’ ein glühend Messer
    IV. Die zwei blauen Augen
    per voce e orchestra, su testo del compositore

    Un ultimo ciclo romantico
    Per capire il senso dei Lieder eines fahrenden Gesellen forse può essere utile fare un salto nella vita del giovane Mahler. Gli anni erano quelli di Kassel, quando tra il 1883 e il 1885 il teatro locale si era fatto avanti con un contratto da Direttore assistente: niente di eccezionale, si intende, ma una buona occasione per farsi le ossa in attesa di un incarico più prestigioso. Dalla cittadina tedesca Mahler spediva ogni giorno lettere di disponibilità ai maggiori teatri europei; nel frattempo, assieme alla voglia di fare carriera, sentiva crescere il desiderio di avere una compagna al suo fianco. Da quelle parti viveva una giovane ragazza, promettente soprano della compagnia locale, che gli faceva girare la testa (Johanna Richter): «la sfinge» era il nomignolo che Mahler le aveva affibbiato, proprio per stigmatizzare un curioso comportamento, fascinoso e insieme enigmatico. Tra i due non ci fu niente; ma il sentimento provato da Mahler fu sufficiente per stimolare un’ardente poesia nell’agosto del 1884, firmata da un fahrender Geselle (un viandante). Un simile evento deve per forza essere messo in relazione con un ciclo vocale intitolato Lieder eines fahrenden Gesellen (Canti di un viandante). Evidentemente in quegli anni Mahler si sentiva un viandante, in cerca di qualcosa che stentava a stagliarsi all’orizzonte; proprio come il Wanderer (viandante) di Schubert o il Wilhelm Meister di Goethe, gli eroi romantici alla ricerca di una meta distante tanto quanto irraggiungibile. L’amore faceva parte del pacchetto: anch’esso era un oggetto anelato, ma impossibile da stringere in pugno. Non stupisce, dunque, il fatto che il Mahler di quegli anni, tutto intriso di poesia romantica, sentisse la vocazione a ingigantire lo sfortunato esito di una storiella d’amore; del resto in quel periodo si sentiva ancora un poeta-musicista, e per i Lieder eines fahrenden Gesellen (ma non solo) scelse una selezione di componimenti propri. Al di là dei contenuti poetici, anche i modelli musicali sono tutti romantici: quello di Mahler può essere considerato un Liederkreis (ciclo di Lieder), fatto di corrispondenze incrociate e unitario sotto il profilo tematico, proprio come la Winterreise di Schubert o la Dichterliebe di Schumann. Dei sei testi scritti inizialmente, tra il Natale del 1884 e il primo gennaio del 1885, solo quattro furono impiegati nella nuova composizione; ma quel lavoro sgorgato così rapidamente dal cuore di Mahler dovette attendere molti anni prima di essere conosciuto dal grande pubblico: la prima esecuzione ufficiale avvenne difatti solo il 16 marzo del 1896 a Berlino, con i Berliner Philharmoniker diretti dall’autore (la stessa sera erano in programma la Prima Sinfonia e il primo movimento della Seconda). Il tema di fondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen è allineato alla stessa impostazione - indiscutibilmente rétro nel 1894 – del lavoro: un amore infelice di cui si rendono noti solo i postumi dolenti, proprio come negli analoghi cicli di Schumann e Schubert. Il primo Lied (Wenn mein Schatz) racconta il dolore dell’Io lirico, che si chiude mestamente in se stesso al pensiero delle nozze dell’amata; l’orchestra accompagna sottovoce il pesante incedere del baritono, proprio come se non riuscisse a trovare le parole per confortare l’infelice; e la sezione centrale - con gli svolazzi del violino solo e i freschi gorgheggi del flauto - non fa che accrescere l’amarezza del viandante, sbattendogli in faccia un’illusione primaverile che si estingue non appena prende forma.

    Nel secondo Lied (Ging heut’ morgen) chi conosce la Prima Sinfonia di Mahler non può non riconoscere la stessa melodia che nel primo movimento allude con gioviale semplicità ai suoni di una natura accogliente e materna. È la voce del fringuello che celebra la bellezza del mondo, assieme ai suoi compagni di vita (la campanula e tutti gli altri fiori); ma anche in questo caso lo splendore collettivo del mondo naturale non si concilia con le inquietudini dell’individuo, che alla domanda «Forse ricomincia ora la mia felicità?» risponde con un’afflizione che anticipa l’Adagietto della Quinta Sinfonia: «No! Quello che desidero mai più fiorirà». Con il terzo Lied (Ich hab’ ein gluhend Messer) l’angoscia opprime il viandante durante il sonno quanto durante la veglia; la metafora del coltello piantato nel petto partorisce una serie di scomposte figurazioni melodiche, che urlano assieme alle percussioni tutto il loro affanno. Ma anche in sogno la figura dell’amata continua a perseguitare il soggetto; l’orchestra, divenuta gelida e immobile, dà un senso molto diverso all’«O weh» (Ahimè) che punteggia il componimento poetico; e così quello che nella sezione centrale era un grido di dolore urlato a pieni polmoni, ora diviene il glaciale commento a una condizione ormai assimilata con lucida consapevolezza. L’ultimo Lied riporta in vita un protagonista della poesia romantica, quel tiglio (Lindenbaum) che nella Winterreise (Viaggio d’inverno) di Schubert diviene un riparo per l’immaginazione del viandante alla vana ricerca di illusioni primaverili. Anche in questo caso l’albero accoglie il fahrender Geselle sotto la sua ala protettrice: i colori dell’arpa e del flauto sembrano descrivere un mondo migliore, ma l’allusione si confonde con l’illusione, e la gelida chiusura strumentale (che riprende il ritmo di marcia funebre della sezione iniziale) sembra più un rassegnato trapasso nell’aldilà che lo sprofondamento nel mondo dei sogni descritto dal testo.

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