Juraj Valčuha: Stravinskij L’oiseau de feu

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Juraj Valčuha direttore

     

    Igor Stravinskij
    L’oiseau de feu, suite dal balletto op. 20
    (versione 1945)

    Igor Stravinskij (1882-1971)
    L’oiseau de feu, suite dal balletto op. 20 (versione 1945)
    I. Introduzione - Preludio e danza dell’Uccello di fuoco - Variazione
    dell’Uccello di fuoco
    II. Pantomima prima
    III. Pas de deux. L’Uccello di fuoco e Ivan Zarevič
    IV. Pantomima seconda
    V. Scherzo. Danza delle principesse
    VI. Pantomima terza
    VII. Rondò (Khorovod)
    VIII. Danza infernale
    IX. Ninnananna
    X. Inno finale

     

    Rimskij-Korsakov che si trasforma in Stravinskij
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La Parigi in cui nacque l’Uccello di fuoco era una città invasa dagli artisti russi. La colpa - o il merito che dir si voglia - era di Sergej Djagilev, l’impresario teatrale che aveva importato nella capitale francese i Ballets Russes: una compagnia formata dai migliori ballerini del Bol’šoj e del Mariinskij. L’intento era quello di sperimentare nuove soluzioni nell’incontro tra danza, musica e scenografia; niente di meglio per la Parigi di Picasso, De Chirico, Debussy e, appunto, un emigrato con la Russia piantata nel cuore come Stravinskij. L’apparizione dell’Uccello di fuoco all’Opera di Parigi (25 giugno 1910) fu una delle prime rappresentazioni allestite dalla compagnia dei Ballets Russes, ma soprattutto una prima stretta di mano tra Stravinskij e Djagilev: una coppia destinata a grandi cose (basti pensare al Petruška del 1911, al Sacre du printemps del 1913 o al Pulcinella del 1920), nonché a una grande amicizia che in un certo senso dura ancora oggi, visto che Stravinskij, poco prima di morire, chiese di essere sepolto a Venezia (nell’isola di San Michele) proprio accanto a Djagilev.
    Una battuta, di cui purtroppo si e perso l’autore, dice: ≪Il capolavoro di Rimskij-Korsakov è stato l’Uccello di fuoco di Stravinskij≫. La boutade allude chiaramente ad alcune analogie con quella colonna sonora del mondo magico, fatta di colori orchestrali continuamente cangianti, che Rimskij aveva saputo scrivere meglio di chiunque altro. Ma lo Stravinskij che stava per affrontare il mondo freddamente oggettivo di Petruška non poteva certo allinearsi piattamente alla pittura del fiabesco ideata dal suo maestro.

    L’uccello di fuoco non è solo un mondo in cui il “c’era una volta” viene fuori in tutta la sua meravigliosa bellezza; Stravinskij nel giro di qualche anno avrebbe definitivamente integrato il “brutto” – o meglio ciò che feriva le orecchie dei contemporanei - nella rosa dei grandi valori estetici; e anche la fiaba del principe Ivan e del magico uccello di fuoco che lo aiuta a sconfiggere il mago Kašcei (arcigno rapitore di tredici bellissime fanciulle) passa attraverso una scrittura sperimentale, in cui il ritmo scomposto e la durezza sonora sono talvolta strutture portanti. Dalla partitura del balletto Stravinskij ricavò una Suite da concerto più volte rivista (questa sera e in programma la versione del 1945), che seleziona i momenti cardinali della vicenda. L’Introduzione pennella a macchie scure la fisionomia sinistra del castello di Kašcei: la dinamica si attesta sul piano, ma la debolezza sonora (sporcata dall’inquietante sfarfallio dei violini) non è sinonimo di calma serena. Segue la presentazione dell’uccello di fuoco con la sua danza frettolosa, che sguscia via con colori leggeri e vibranti (Pantomima prima). I movimenti guizzanti non bastano per garantirgli la libertà e Ivan lo cattura su una serie di ribattuti ostinati e insensibili (Pas de deux); ma l’accorata richiesta di perdono della creatura magica (Pantomima seconda) colpisce nel segno, e l’uccello ottiene la libertà in cambio di una penna d’oro che tornerà utile all’eroe nel castello.

    Le fanciulle prigioniere appaiono in tutta la loro freschezza giovanile in uno Scherzo (Danza delle principesse) che nei gorgheggi dei legni tradisce la natura giocosa di un’età che non si è ancora del tutto emancipata dalle occupazioni infantili. Poi il corno introduce l’apparizione di Ivan (Pantomima terza), e la giocosità del brano precedente matura nella malinconica rassegnazione di un khorovod (danza slava da ballare in cerchio), tutto intessuto di ricami sussurrati (nei legni in particolare).

     

    Le tre Suites dal balletto

    Stravinskij trasse tre diverse Suites dall’Uccello di fuoco, eseguite molto più frequentemente del balletto; lui stesso le considerò migliori dell’opera intera, troppo lunga e di valore diseguale. La prima, del 1911, è composta da cinque numeri e caratterizzata da un’orchestrazione grandiosa. La seconda, del 1919, e la più eseguita nelle sale da concerto, prevede l’utilizzo di un’orchestra ridotta ed è costituita da sette numeri. L’ultima versione (quella in programma questa sera) è la più ampia (prevede dieci brani) ed è stata approntata da Stravinskij nel 1945 a Los Angeles.

    La tinta novecentesca dell’Oiseau de feu viene fuori con prepotenza nella pagina centrale del balletto, La danza infernale. Il mago Kašcei appare in tutta la sua violenza sonora, e il Rimskij-Korsakov, che si era ancora sentito nelle scene precedenti, improvvisamente invecchia di un secolo; l’ascoltatore viene investito da una serie di coltellate sonore, che prediligono sistematicamente i tempi deboli della battuta; e l’effetto è quello di una continua sincope, protesa con furore verso un momento di quiete che non arriva mai. La Ninnanannagiunge come una parola materna e confortante alle orecchie delle fanciulle; ma è proprio quel sogno etereo a riportare la penna d’oro alla memoria di Ivan: l’oggetto magico, scosso in aria, procura l’apparizione dell’uccello di fuoco, che svela al protagonista il modo per sconfiggere Kašcei (distruggere l’uovo in cui è racchiusa l’anima del mago). Il cattivo muore, e dalla penna di Stravinskij nasce una pagina straordinariamente ispirata (Inno finale), che sembra giungere alle nostre orecchie da un’altra dimensione: la melodia nasce dal nulla come un corale dell’aldilà, ma poi si trasforma in un rude ostinato, che alla progressiva diminuzione della velocità fa corrispondere una devastante crescita della tensione.

    ANDREA MALVANO

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