Antonio Pappano: Čajkovskij Sinfonia n. 6 "Patetica"
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Sala Santa Cecilia
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Sir Antonio Pappano Direttore
Pëtr il’ič Čajkovskij
(Votkinsk 1840 - San Pietroburgo 1893)
Sinfonia n. 6 in si minore op. 74 “Patetica”
Adagio. Allegro non troppo
Allegro con grazia
Allegro molto vivace
Finale. Adagio lamentoso
Data di composizione
1892-1893
Prima esecuzione
San Pietroburgo,
28 ottobre 1893
Direttore
Pëtr Il’ič Čajkovskij
Organico
Ottavino, 3 Flauti,
2 Oboi, 2 Clarinetti,
2 Fagotti, 4 Corni,
2 Trombe, 3 Tromboni,
Basso tuba, Timpani,
Percussioni, Archi
La Sinfonia “Patetica” di Čajkovskij
Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Che si può dire ancora su un capolavoro sinfonico tra i più noti e ammirati del repertorio? Un capolavoro che è familiare a ogni pubblico e che non dà occasione di riflessioni problematiche, se non quell’unica, ancora sentita, della contiguità immediata ed enigmatica con la morte? Forse possiamo girare intorno al capolavoro e raccogliere quanto sappiamo, che non è poco, dei pensieri, dei discorsi, degli incontri, degli stati d’animo di Čajkovskij nei mesi che precedettero il capolavoro e la morte, evitando, per quanto si può, il gusto delle dimostrazioni impossibili, le riflessioni, appunto, sull’arte e sui presagi e il destino. Il caso della Sinfonia “Patetica” offre, a chi la cerca, materia a sufficienza.
Čajkovskij, sappiamo, fu un genio cosciente di sé, certo, e orgoglioso, ma agitato, scontento, ombroso, sentimentale: e come tutti, anche i non geni, pativa delle sconfitte e tendeva a ingrandirle. Ma i mesi in cui egli si avvicinò al suo capolavoro sinfonico, alla patetica rivelazione della sua infelicità esistenziale, furono tra i migliori della sua vita. Se il Casse-noisette, il meraviglioso balletto (18 dicembre 1892), non ebbe subito il successo cui era destinato, durava ancora il trionfo della Dama di picche, e, dal 1891, nelle tournées a Parigi, negli Stati Uniti («qui sono dieci volte più celebre che in Europa»), ad Amburgo (una magnifica rappresentazione dell’Oneghin diretta da Mahler), a Vienna era stato acclamato come mai prima. Il 12 giugno 1892 aveva avuto la laurea d’onore a Cambridge.
Dopo il ritorno dagli Stati Uniti egli aveva avviato una Sesta Sinfonia, che non concluse («La sinfonia è solo un lavoro scritto dall’autore per pura forza di volontà; non contiene nulla di interessante o di attraente», al diletto nipote Vladimir Davidov, detto Bob, dicembre 1892). Fu un malumore che passò presto. Qualche mese dopo scrisse al fratello Anatolij di essere immerso nel lavoro di una nuova Sinfonia («Credo che ne verrà il migliore dei miei lavori», come fu) e il giorno dopo, in una lettera a Bob, parlò di un misterioso “programma” della sua Sinfonia, da lasciare, però, segreto: «chi può, l’indovini». Il lavoro andò avanti con rapidità, anche se non quella che l’autore aveva previsto all’inizio. Comunque sia stato, al principio dell’autunno la Sinfonia era pronta. Nicolaj Kaškin, amico e biografo di Čajkovskij, racconta di averlo incontrato a Mosca alla fine di ottobre. Parlarono di vita e di morte e Čajkovskij era di umore eccellente. «Dissi a Pëtr che lui sarebbe sopravvissuto a tutti noi. Non ne era convinto, però aggiunse che non si era mai sentito tanto bene e felice». Parlò anche della sua Sinfonia appena terminata: aveva ferma fiducia nei primi tre movimenti, ma era pieno di dubbi sull’ultimo, che intendeva riscrivere tutt’intero dopo la prima esecuzione, ormai imminente. Non è strano: in quei giorni di serena attività il musicista ubbidiva al consiglio del suo demone interiore, di distruggere la più cupa “confessione” musicale che egli avesse mai scritto. La “prima”, 28 ottobre 1893, diretta, con poca efficacia, dall’autore ebbe una tiepida accoglienza. Ben altra, e definitiva, ammirazione l’attendeva, in una nuova esecuzione diretta da Eduard Napravnik: ma fu una vittoria di cui Čajkovskij non poté rallegrarsi. Nove giorni dopo la “prima”, il 6 novembre 1893, morì, forse contagiato dal colera.
È una fine inesplicabile, oscura, di cui ancora si parla. Fu veramente il contagio del colera, o un suicidio, o una condanna nascosta? Nel terribile quarto tempo della Sinfonia, nelle pagine che l’autore avrebbe eliminato, sta, forse, il segreto di quella morte triste. Che potrebbe anche essere nascosto nel sottotitolo Pathétique (in francese). Il fratello Modest racconta come venne l’idea, all’improvviso. A Čajkovskij, prima che mandasse il manoscritto alla stampa, sembrava che Sinfonia n. 6 fosse una presentazione vuota, insufficiente. Nella musica ci aveva messo tutto di sé,
era un’autobiografia nel suono, ma “Sinfonia a programma”, come aveva pensato, gli sembrò imprudente («Che significa “Sinfonia a programma”, se poi io non fornisco nessun programma?»). Dopo aver tentato “Sinfonia tragica”, che, naturalmente, l’autore respinse, Modest uscì dalla stanza, ma rientrò subito con un’altra idea, “Sinfonia patetica”, la Pathétique. «Perfetto», disse Čajkovskij e scrisse l’intitolazione sul manoscritto. Era la parola di cui aveva bisogno, musica creata dal pathos, dal sentimento senza essere sentimentale.
Costruzione tutta originale, la Patetica costringe due tempi energici, positivi, vitali, il secondo e il terzo, tra due tempi di sofferenza, l’uno, il primo, e di irrimediabile strazio, il quarto. La vita, lo slancio mondano (la nervosa asimmetria del valzer a 5/4 nel secondo tempo), l’energico vigore della vita pubblica (la marcia del terzo tempo), chiuse e negate tra il dolore e la morte. Quale
Sinfonia si conclude con un Adagio lamentoso? Un termine fosco a tal segno, sguardo annichilito nel vuoto, non si era ancora udito. Ma nessun ascoltatore, per sgomento che resti da tanta rassegnazione, avverte che il discorso è interrotto o sospeso. La rassegnazione alla sconfitta è la conclusione necessaria.