Wayne Marshall: Borodin Sinfonia n.2

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    Wayne Marshall direttore

     

    Aleksandr Borodin      
    Sinfonia n. 2 in si minore (1876)
    Allegro
    Scherzo. Prestissimo - Allegretto - Tempo I
    Andante
    Finale. Allegro - Tranquillo - Tempo I

     

    Una sinfonia ‘eroica’
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La Seconda sinfonia di Borodin nacque contemporaneamente al Principe Igor. Anzi, pare che alcune pagine riprendano testualmente materiali scartati dall’opera. I due lavori sono figli di un’ispirazione comune che affianca toni eroici a slanci lirici. Era il 1869; Borodin aveva appena completato la sua Prima sinfonia, ma aveva tutte le intenzioni di continuare sullo stesso solco. Del resto erano gli anni in cui stavano maturando le idee della Prima sinfonia di Brahms, della Terza di Bruckner, della Quarta di Čajkovskij: tutte composizioni nate in un fazzoletto di storia, tra il 1875 e il 1877, la rinascita di un genere rimasto in cerca d’autore fin dai tempi della Nona sinfonia di Beethoven. Borodin non mancò quell’epocale appuntamento, e nel 1876 concluse la stesura della sua nuova opera sinfonica.

    L’orizzonte espressivo, come detto, non si allontana molto da quel miscuglio di folklorismo, cantabilità a cuore aperto e irruenza epica, che contraddistingue il Principe Igor. In particolare, benché nessun movimento alluda esplicitamente a un universo extramusicale, l’impressione è che la sinfonia voglia raccontare qualcosa, o comunque pennellare un affresco in bilico tra il mito e la storia: motivo per cui l’opera da subito si vide affibbiare l’etichetta di “Eroica”.

    Fin dall’esordio del primo movimento, fosco e sinistro proprio come nell’ouverture del Principe Igor, Borodin sembra alludere a un monumentale quadro epico. La forma sonata si dilata per lasciare spazio ai temi principali; a interessare l’autore non sono tanto i giochi di geometrie della tradizione tedesca, deprecabili forme di intellettualismo secondo i precetti dei Cinque, ma i colori delle singole idee, in tutta la loro divampante forza espressiva: spaventoso come la visione di un’armata nemica, ad esempio, e il grido all’unisono di tutta l’orchestra che chiude l’Allegro.

    Lo Scherzo si apre su un virtuosistico staccato dei corni: soluzione insolita, ma estremamente caratteristica, per un brano in punta di piedi. Borodin aveva pensato a un movimento velocissimo, come indicato dall’agogica in prestissimo; ma ben presto si rese conto che la meccanica dei corni, benché migliorata nel corso dell’Ottocento grazie all’invenzione dei pistoni, non fosse adeguata a scatenare una corsa vorticosa; si dovette pertanto rassegnare ad accettare un tempo meno incalzante.

    L’Andante è la pagina in cui si avverte con maggiore evidenza l’influenza della musica popolare; i violini si incantano su un tremolo continuo, che lascia emergere le voci dei fiati in tutta la loro vibrante cantabilità. Al timbro del corno spetta il compito di emanare quell’arcano senso di nostalgia che qualche anno dopo avrebbe trovato la sua strada maestra nel movimento lento della Quinta sinfonia di Čajkovskij: proprio il compositore che i Cinque guardavano con distanza per i suoi manifesti legami con la tradizione centroeuropea.

    Per inquadrare il Finale non serve la notizia tramandata dal portavoce dei Cinque, Vladimir Stasov, secondo la quale il movimento rappresenterebbe una scena militare al galoppo. La pagina avanza tambureggiante come una cavalcata a spada tratta, lasciando per strada solo alcuni isolati episodi di intimismo. Borodin non lascia nulla di inespresso e si abbandona a un ritratto collettivo, in cui la musica fa fatica a tenersi al di qua del confine che separa i suoni dalle immagini.

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