Nicola Luisotti: Beethoven Sinfonia n. 4
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA
Sala Santa Cecilia
Nicola Luisotti direttore
Ludwig van Beethoven (Bonn 1770 - Vienna 1827)
Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore op. 60
Adagio. Allegro vivace
Adagio
Allegro vivace
Allegro, ma non troppo
Data di composizione
1806
Prima esecuzione
Vienna, 1807
Direttore
Ludwig van Beethoven
Organico
Flauto, 2 Oboi,
2 Clarinetti, 2 Fagotti,
2 Corni, 2 Trombe,
Timpani, Archi
La quarta sinfonia di Beethoven
di Arrigo Quattrocchi
Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Dopo aver terminato all’inizio del 1804 la Sinfonia “Eroica” – eseguita nell’agosto dello stesso anno e pubblicata nell’ottobre 1806 – Beethoven si applicò quasi immediatamente alla stesura
di una nuova partitura sinfonica in do minore, che sarebbe stata completata solamente all’inizio del 1808. Ricca di dubbi e ripensamenti, la gestazione di questo capolavoro (la futura Quinta Sinfonia) avrebbe dunque costituito per un periodo di quattro anni un impegno gravoso e quasi ossessivo, senza tuttavia impedire al compositore non solo di portare a termine il Quarto Concerto per pianoforte, il Concerto per violino, le prime due versioni di Fidelio, ma anche di scrivere un’intera altra Sinfonia, la “Quarta”, e di abbozzarne un’altra ancora per grandi linee, la “Pastorale”. La Sinfonia op. 60 nacque così all’ombra dell’opera maggiore quasi come diversivo rispetto a questa, come spingono a ritenere le stesse circostanze della genesi. Fu nell’autunno del 1806 che Beethoven, in compagnia di uno dei suoi primi mecenati, il principe Lichnowsky, compì una visita al castello del conte Franz von Oppersdorf, nella Slesia Superiore. Amante delle arti, Oppersdorf manteneva alle sue dipendenze un’orchestra che, in occasione della visita del maestro di Bonn, eseguì la Seconda Sinfonia; il padrone di casa chiese al compositore di scrivere per lui un’altra partitura sinfonica e questi, certo allietato da considerazioni economiche, accondiscese; in un primo momento pensò di destinare ad Oppersdorf la Sinfonia in do minore, ma evidentemente il completamento di questa avrebbe richiesto dei tempi troppo lunghi. Di qui l’idea di una partitura totalmente nuova; e, di fatto, la “Quarta” nacque in un periodo di tempo realmente breve; la mancanza dei consueti, vastissimi abbozzi preliminari, che è stata spesso attribuita a smarrimento, è invece più probabilmente da attribuirsi proprio al fatto che tali abbozzi non furono stesi affatto. Dedicata, ovviamente, a Oppersdorf, la Sinfonia in si bemolle fu eseguita il 5 marzo 1807 nel palazzo viennese del principe Lobkowitz, e fu pubblicata l’anno seguente. Il carattere quasi parentetico della composizione della “Quarta” si riflette anche sul suo contenuto musicale, alieno da ambizioni titaniche e ispirato piuttosto a principi estetici di puro intrattenimento, per certi versi ancora settecenteschi; tanto che, schiacciata fra i massicci monumenti dell’“Eroica” e della “Quinta”, la Sinfonia in si bemolle ha spesso imbarazzato la critica romantica. Gradita a Schubert (che d’altra parte, nelle sue prime Sinfonie seguiva la scia haydniana), fu definita da Schumann “una slanciata ragazza greca fra due giganti nordici”, con un complimento che è tale solo apparentemente; e in effetti per accettare pienamente la Sinfonia i romantici ebbero bisogno di ricercare il solito connubio fra l’uomo e l’artista, attribuendo il contenuto “sereno” della partitura al momento “sereno” attraversato dal musicista, innamorato di Teresa von Brunswick. Ma, se manca di forte impegno contenutistico, non per questo la “Quarta” segna un arretramento nello stile sinfonico beethoveniano. La consapevolezza raggiunta dall’autore con l’“Eroica” nella scrittura sinfonica e nella tecnica della dialettica tematica segna un divario incolmabile rispetto alle Sinfonie “settecentesche”, la “Prima” e la “Seconda”. A suo modo la “Quarta” spinge i suoi compiti d’intrattenimento verso limiti difficilmente valicabili; le sperimentazioni timbriche che percorrono internamente l’intera partitura non hanno un carattere decorativo, ma minano dall’interno la struttura tradizionale, apparentemente rispettata nella scansione in quattro movimenti che si rifanno ai moduli haydniani: primo tempo in forma-sonata con introduzione lenta, secondo tempo contemplativo, Minuetto con Trio e Finale con “moto perpetuo” in forma-sonata. L’Adagio introduttivo si svolge in un misterioso clima aspettativo, che sfocia nei bruschi “colpi” orchestrali che aprono l’Allegro vivace; qui emergono subito i tratti caratteristici di ironia che appartengono a tutta la partitura: l’aggressività ritmica, la contrapposizione fra gruppi strumentali, il dolce rilievo espressivo del
gruppo dei legni, la raffinatezza cameristica dei giochi timbrici, evidente soprattutto nel periodo che conclude lo Sviluppo, prima della Ripresa. L’Adagio, il secondo movimento, si anima di idee cantabili dal profilo non nettamente definito, cementate fra di loro da un principio ritmico giambico che appare immediatamente come figura di accompagnamento e assume poi, nel corso del movimento, le più diverse funzioni.
Ancora un principio ritmico è alla base del Minuetto (un ritmo binario calato in una misura ternaria), che si contrappone poi nettamente al Trio, con la cantilena dei fiati; è questo il movimento dove appare più scopertamente la logica di contrapposizione fra archi e fiati.
Chiude la Sinfonia un Allegro ma non troppo estremamente brillante, simile nell’impostazione a certi Finali di Haydn, ma con una ruvidezza ritmica e dei contrasti dinamici che sono del tutto
peculiari; e una conclusione ad effetto riafferma con decisione i contenuti giocosi della partitura.