John Axelrod: Čajkovskij, Sinfonia n. 4 op. 36

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    Auditorium Arturo Toscanini di Torino
    Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

     

    John Axelrod direttore

     

    Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893)
    Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36 (1877/78)
    Andante sostenuto - Moderato con anima (In movimento di valse) -
    Moderato assai, quasi andante - Allegro con anima - Molto più mosso -
    Più mosso. Allegro vivo
    Andantino in modo di canzona - Più mosso - Tempo I
    Scherzo (Pizzicato ostinato). Allegro - Meno mosso - Tempo I
    Finale. Allegro con fuoco - Andante - Tempo I

     

    L’anno terribile
    Tratto dal programma di sala dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai

    La Quarta Sinfonia di Čajkovskij fu composta quasi interamente nel 1877, autentico anno terribile che vide avvicendarsi nell’animo del compositore continui stati di aspettativa e avvilimento. Fu davvero un anno “fatale”, nel quale Čajkovskij realizzò lo sconsiderato progetto di sposarsi: l’unica soluzione possibile per negare a se e al mondo la sua omosessualità. Il progetto maturò dopo aver appreso con dolore di un altro matrimonio: quello del suo amico di un tempo, Vladimir Šilovskij, al quale era stato legato da un amore sincero e fortificante, con una ricca contessa. Ma proprio mentre il suo equilibrio vacillava, sotto la nefasta influenza di un’unione coniugale catastrofica, che lo condusse a un tentativo di suicidio, si andava rafforzando il legame profondo e ideale (i due non si incontrarono mai) con Nadežda von Meck, vedova di un grande industriale, pianista dilettante e sua grande estimatrice. In questa amicizia elettiva Čajkovskij dovette trovare una compensazione dell’affetto materno che tanto gli mancò in vita, oltre a un importante sostegno materiale di stampo mecenatistico. La Quarta Sinfonia fu terminata il 7 gennaio 1878, a matrimonio già naufragato, nel corso di un viaggio in Europa e in particolare durante il soggiorno in Italia, a Sanremo.
    Fu subito spedita a Mosca per la prima esecuzione, che avvenne il 22 febbraio sotto la direzione dell’amico Nicolaj Rubinštejn.

    La Sinfonia
    Il primo movimento si apre con la potente e tragica affermazione dell’impossibilità per l’uomo di accedere alla felicita: al proclama d’apertura di corni e fagotti si uniscono tromboni e tuba, e successivamente, come per drastica perorazione, trombe, flauti, oboi e clarinetti. A seguito di questa introduzione, che presenta il motivo fatale poi ricorrente come un’idea fissa in tutto il movimento e non solo, si apre un grande episodio tematico, in cui la melodia fondamentale, un mesto
    Movimento di valse, viene ampiamente sviluppata in modo da trarne tutti i riflessi emotivi insiti, che vanno dalla rassegnazione alla disperata consapevolezza. Il dramma pare trovare una via di scampo nella dimensione di “sogno danzante” portata dal secondo tema, esposto prima dal clarinetto e poi dai violoncelli, con ornamentazione di scalette cromatiche dei legni. Una terza idea dà vita a un incalzante stringendo del tempo che sfocia nello sviluppo vero e proprio. Il ritorno del motivo fatale alle trombe pone fine all’elaborazione tematica e segna l’inizio della ripresa variata. La coda, dopo l’ennesimo squillo del destino, concede un’oasi di serenità che viene però travolta dalla stretta finale, il cui ritmo sussultante trascina gli archi nelle regioni acute per l’estremo lacerante grido di
    dolore prima della conclusione.
    L’Andantino in modo di canzona è fondato sulla melodia presentata in apertura dall’oboe, ≪semplice ma grazioso≫, che torna in vari luoghi sempre sostanzialmente identica, modificata solo nel sostegno fornitole dagli altri strumenti; la prima ripetizione è affidata ai violoncelli, ai quali si sommano poi i violini, portando il tema a una cantabilità più aperta. Il tutto viene ripetuto con una disposizione strumentale diversa.
    La parte centrale in tempo Più mosso presenta un nuovo tema dal carattere danzante, affidato a clarinetti e fagotti, che all’acme del suo sviluppo melodico viene contrappuntato da cellule ritmiche
    degli ottoni, desunte dal motto del destino d’apertura. La ripresa dal tema iniziale e ornata da brevi e rapidi inserti dei legni; la melodia viene poi ripartita e suddivisa tra le voci dei vari strumenti fino alla Coda, in cui la lunga riesposizione del tema al fagotto, quasi una cadenza solistica, conclude il movimento.
    Lo Scherzo è il movimento che riscosse maggior successo alla prima esecuzione della sinfonia, e in effetti il virtuosismo richiesto dai pizzicati degli archi, la varietà timbrica con cui i legni presentano la melodia popolaresca del Trio e la combinazione delle due realtà opposte nella conclusione del movimento, danno vita a uno degli arabeschi più fantasiosi ed elegantemente costruiti della produzione di Čajkovskij.
    Nel Finale pare trionfare una sana gioia di vivere. Questo aspetto festoso si può evincere dalla stessa strumentazione che chiama in causa triangolo, piatti e grancassa. La visione di vigorosa esultanza non tarda a essere interrotta dall’ennesimo ritorno del motto d’apertura; il fato incombe, la felicità è negata o relegata al sogno di un momento. Può forse esistere solo negli spiriti più semplici, che sanno far propria la spontanea allegrezza che qualche volta si accompagna alla vita, come pare indicare la conclusione della Sinfonia.

    Čajkovskij secondo Ken Russell
    Un celebre film di Ken Russell del 1971, The Music Lovers (tradotto in italiano come L’altra faccia
    dell’amore) racconta, con il consueto stile un po’ eccessivo e kitsch del regista, la vita di Čajkovskij, e in particolare le traversie del 1877, con l’incubo del matrimonio e l’inizio del legame con la von Meck. Ken Russell è considerato un regista di culto, e gode di grande credito presso schiere di fans. Il suo cinema dirompente, visionario e nevrotico ha saputo narrare le varie forme di
    follia e genialità umane. Oltre al film su Čajkovskij è molto conosciuto quello sulla vita di Mahler (il titolo italiano è Mahler - La perdizione, del 1974).
    Ma la vicinanza del suo cinema con la musica non si limita a queste due opere biografiche: uno dei suoi capolavori, The Devils, del 1971, con una strepitosa Vanessa Redgrave, tratta lo stesso argomento portato sulle scene nel 1969 dal compositore polacco Krzysztof Penderecki nell’opera Die Teufels von Loudun (I diavoli di Loudun). Più recente, del 1988, è Salome’s Last Dance (L’ultima Salomè), che gioca con il dramma di Oscar Wilde da cui Richard Strauss trasse la sua Salome. L’operazione è smaccatamente ironica: Wilde assiste alla prima della sua piece in un bordello, dove irrompe la polizia che arresta tutti. Probabilmente non è il capolavoro di Russell, ma la Erodiade di Glenda Jackson travestita da Biancaneve e indimenticabile.

    Paolo Cairoli
    (dagli archivi Rai)

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