Antonio Pappano: Rossini La scala di seta – Haydn Sinfonia concertante
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA Sala Santa Cecilia
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Sir Antonio Pappano Direttore
Gioachino Rossini
(Pesaro 1792 - Passy, Parigi 1868)
La scala di seta: sinfonia
Franz Joseph Haydn
(Rohrau 1732 - Vienna 1809)
Sinfonia concertante
in si bemolle maggiore
per violino, violoncello, oboe, fagotto e orchestra
Hob. I n. 105
Allegro
Andante
Allegro con spirito
Carlo Maria Parazzoli violino; Gabriele Geminiani violoncello
Franceso Di Rosa oboe; Andrea Zucco fagotto
Gioachino Rossini
(Pesaro 1792 - Passy, Parigi 1868)
La scala di seta: sinfonia
Data di composizione
1812
Prima esecuzione
Venezia, Teatro San Moisè
9 maggio 1812
Organico
Flauto, 2 Oboi,
2 Clarinetti, 2 Fagotti,
2 Corni, Archi
La scala di seta di Rossini
di Paolo Gallarati
Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Composta nel 1812 per il Teatro San Moisè di Venezia, La scala di seta appartiene al gruppo delle
cinque farse che lanciarono il giovanissimo compositore prima della sua affermazione definitiva,
avvenuta nel 1813 con Tancredi e L’italiana in Algeri.
Dopo il periodo di depressione che l’opera italiana aveva vissuto in seguito alla scomparsa dei grandi compositori settecenteschi, lo stile rossiniano, sorprendente, trascinante, energetico, pieno di grazia e di furore, apparve come una rivelazione. Così lo descrisse Giuseppe Carpani, nelle Lettere rossiniane (1824): «Un diluvio d’idee freschissime e nuove gli piovon dalla penna […] mischia, quando gli torna, il drammatico, il pindarico, l’anacreontico con meravigliosa facilità; sparge di grazie, di fioretti, di bizzarrie e di bisticci curiosissimi le sue composizioni; la verità tocca le corde della di lui cetra, e senti fremere l’enarmonica tempesta quando a terrore e spavento le effigia, le scuote, e coi proprj loro modi ed accenti parlar fa le passioni diverse, e le turbazioni dell’animo palesarsi».
Grazie, bizzarrie e curiosi bisticci caratterizzano anche la Sinfonia della Scala di seta. Basti ascoltare come la prima battuta di questo minuscolo capolavoro presenti, nel modo più inatteso, quattro guizzi ascendenti degli archi seguiti da una cascatella di note; improvviso zampillare di una musica vivacissima, subito stranamente interrotta dalla comparsa di un romantico Andantino, con la sognante melodia dell’oboe, in dialogo con il flauto e il corno. Ma l’Allegro erompe, nuovamente,
subito dopo, e si afferma senza interruzioni, leggerissimo e arguto, alternando balzi e saltelli a scroscianti successioni di scale. Vi si concentrano le caratteristiche principali dello stile rossiniano: il segno netto e incisivo; l’arguzia degli intarsi strumentali; il lucido accostamento dei timbri;
il ritmo scattante e pieno di energia; la dinamica, con i contrasti di piano e forte e la travolgente vitalità del crescendo; e, soprattutto, la coerenza deduttiva, che Rossini ha appreso da Haydn e da Mozart, e che annulla il frammentismo dello stile comico settecentesco praticato dagli italiani, trasformando il discorso musicale in un unico flusso, tanto più energetico quanto più coerente. Il secondo tema, che compare dopo una transizione quasi tempestosa, è un comico saltellio di note emesso dagli archi e dai legni, un gioco pullulante di richiami, come di gente che si fa cucù o si strizza l’occhio dietro le quinte. Seguono il “crescendo” e un piccolo sviluppo, in cui agli episodi cameristici si accompagnano quegli effetti rumoristici di tutta l’orchestra che sconcertarono i contemporanei e affibbiarono al giovane Rossini l’appellativo di «tedeschino», ossia seguace di un gusto musicale antitetico alla carezzevole dolcezza dello stile italiano.
Franz Joseph Haydn
(Rohrau 1732 - Vienna 1809)
Sinfonia concertante
in si bemolle maggiore
per violino, violoncello, oboe, fagotto e orchestra
Hob. I n. 105
Data di composizione
1792
Prima esecuzione
Londra, 9 marzo 1792
Direttore
Franz Joseph Haydn
Organico
Violino, Violoncello,
Oboe, Fagotto (solisti),
Flauto, Oboe, Fagotto,
2 Corni, 2 Trombe,
Timpani, Archi
La Sinfonia concertante di Haydn
Tratto dal programma di sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Nel 1790, Haydn, terminato il servizio di musicista di corte presso gli Esterházy, fu invitato a Londra da Johann Peter Salomon, celebre violinista e direttore d’orchestra d’origine tedesca, direttore di una fiorente e prestigiosa società concertistica. I due soggiorni nella capitale inglese, nel 1791-92 e 1794-95 segnarono per Haydn un trionfo: il compositore presentò le dodici Sinfonie cosiddette “londinesi”, più questa Sinfonia concertante, eseguita per la prima volta, il 9 marzo 1792 sotto la direzione dell’autore, con Salomon al violino ed altri rinomati virtuosi nelle altre parti solistiche. Il genere della Sinfonia concertante nasce da quello del Concerto grosso che godette di una grande fioritura tra gli ultimi decenni del ’600 e i primi del ’700. Portato in auge da Corelli
e da Händel, era caratterizzato dalla presenza di un gruppo di strumenti solistici (per lo più archi, ma talvolta anche fiati) che dialogavano liberamente con l’orchestra, secondo un rapporto di pieni e di vuoti che la forma della Sinfonia concertante, nata nella seconda metà del Settecento presso i compositori della scuola di Mannheim, arricchì di tutte le caratteristiche strumentali, stilistiche ed espressive maturate nel frattempo. Così, in questa pagina di Haydn, il vecchio concertino si è trasformato in un quartetto, con due coppie di strumenti appartenenti a famiglie diverse – archi e legni – scelti in modo da rappresentare le quattro tessiture fondamentali, dal basso al soprano. A differenza di quanto avviene nel genere del Concerto, nella Sinfonia concertante i solisti non si oppongono all’orchestra come personalità indipendenti: emergono, invece, dalla massa e vi rientrano, collaborando ad un discorso “sinfonico” caratterizzato da una pittoresca varietà di colori timbrici. Così fanno il violino, il violoncello, l’oboe e il fagotto che, durante l’esposizione orchestrale dell’Allegro d’apertura cominciano ad affacciarsi timidamente, in brevi passaggi di raccordo, rendendo quindi vivo il desiderio di ascoltarli più a lungo. Subito dopo, i quattro
riprendono il tema principale, in cui una proposta cantabile è seguita da una capricciosa riposta ritmica. Si noti con quale maestria Haydn sappia conciliare due princìpi apparentemente antitetici: da un lato i temi sono frantumati in una serie di incisi, talvolta bizzarri, sempre imprevedibili; dall’altra questo discorso non dà la minima impressione di frammentarietà, perché tutto è reso unitario dalla coerenza deduttiva, caratteristica fondamentale dello stile classico viennese. Così,
il gusto rococò per la capricciosa frastagliatura del disegno, che trionfa in questa composizione, perde ogni leziosaggine e diventa espressione di quella medesima fantasia combinatoria che, in chiave vigorosamente costruttiva, si afferma nelle Sinfonie londinesi: i temi attirano la nostra attenzione non tanto per la loro personalità, come avviene in Mozart, quanto per la vicenda di trasformazione, frantumazione, combinazione cui vengono ingegnosamente sottoposti da Haydn e organizzati in costruzioni perfette. Nessun altro artista del secondo Settecento ha saputo interpretare con maggiore poesia la lucidità della ragione illuministica nell’atto di ordinare, con splendente
chiarezza, la varietà del mondo.
A differenza di quanto avviene nell’Allegro iniziale, nell’Andante i quattro solisti escono subito in primo piano, mantenendosiin equilibrio tra una scrittura concertante ed uno stilepiù impegnativo, non lontano da quello del quartetto d’archi.Il tema, dolcemente nostalgico e riposato, molto vocalisticonella sua effusione melodica, è variato e decorato con estremagrazia, mentre l’orchestra assolve a una semplice funzionedi sostegno.
Dopo il raccoglimento cameristico del secondo movimento, l’Allegro con spirito ritorna alla dimensione sinfonica, riservandoci una curiosa sorpresa. L’incipit è inaspettatamente febbrile, e sembra introdurre la scena eroica di un’opera seria: impressione confermata, subito dopo, da un patetico recitativo del violoncello. Poi, il rondò parte con un tema dal carattere spiccatamente comico, che attrae i quattro strumenti solisti in capricciosi inseguimenti imitativi, brillanti uscite virtuosistiche come quelle del violino, imitato dal violoncello che passa all’orchestra il filo del discorso, e questa lo rilancia agli strumenti a fiato, in un continuo gioco di scambi, vivacissimo
e arguto. La regola è l’imprevedibilità, la coincidenza tra estro e armonia, tra la volubile libertà
dell’invenzione e la convergenza di ogni elemento in una costruzione equilibrata, perfettamente in sé conchiusa. A poco a poco dimentichiamo lo strano recitativo iniziale. Di modo che ci sorprende riascoltarlo ancora una volta, quando sbuca fuori, nel modo più imprevedibile, a spezzare la corsa del rondò, prima che questo possa riaffermare, un’ultima volta, la sua accesa vitalità.