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La nascita del capitalismo

in onda domenica 3 giugno 2012 alle 13.25

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    Nella ventiduesima puntata l’attenzione si concentra sulla città di Firenze, attraverso un percorso presso il Museo della Confraternita della Misericordia, il Museo dell’Opera del Duomo, la mostra “Denaro e Bellezza” a Palazzo Strozzi, e una visita al Duomo di Prato.

    Max Weber, in un suo testo fondamentale, pubblicato nel 1904, sostiene che il capitalismo moderno è nato dall’applicazione alla vita produttiva dello spirito individualista, frugale e meritocratico della Riforma Protestante. Philippe Daverio alimenta una tesi opposta, collocando la nascita del capitalismo moderno nel dugento a Firenze, in un ambito radicalmente diverso, che fa riferimento quindi a un'etica cattolica. Nel 1252, nasce infatti in città il fiorino, moneta che determina la nascita dell’economia moderna, basata sull’oro. Il fiorino diventa subito la moneta di riferimento per tutta l’economia del vecchio continente medioevale. La nascita della nuova moneta non avviene per caso: la società produttiva fiorentina ha generato infatti una vera borghesia che si articola attorno al governo delle arti, cioè le corporazioni. Tra queste, quelle che contavano per davvero erano solamente le arti maggiori, cioè mercanti, notai, giudici, banchieri, lanaioli, setaioli, pellicciai, speziali, medici. Nessun potere era riservato invece per le arti minori, mestieri più semplici come il macellaio, il vinaiolo o il legnaiolo, ma queste sono alla radice di quella accentuata conflittualità che sarà il motore di tutta la politica successiva. In questa storia, il pratese Francesco Datini si colloca con un ruolo di personaggio centrale: nato fuori dal giro delle arti maggiori, essendo figlio di un oste, vende una sua piccola proprietà per 150 fiorini e si trasferisce ad Avignone, dopo aver imparato il mestiere del cambio a Firenze, inventandosi una cosa totalmente nuova. Si occupa, infatti, non solo di cambio, ma acquista anche alcune fabbriche tessili e i negozi corrispondenti.

    E’ il primo che, nella seconda metà del ‘300, ha inventato la holding, rompendo così il divieto inerente alla sola vita repubblicana fiorentina di non poter essere contemporaneamente mercante e banchiere. E così si arriva a Cosimo il Vecchio: figlio d’un self made man, Giovanni di Bicci, che aveva trasformato il suo banco in una ditta fiorente fondata alla fine del trecento, diventa anche lui un magnate e si scontra immediatamente con l’oligarchia dei vecchi ricchi banchieri. Cosimo è il campione d’una rinnovata borghesia popolare e si converte alla cultura. Dal padre, che aveva già iniziato a sponsorizzare la costruzione della chiese del loro quartiere, San Lorenzo, riceve in eredità molto danaro e tre libri. Alla sua morte lascerà un impero finanziario e 10.000 libri alla città. Perché è convinto che la cultura paga.

    In tale contesto avviene l’innovazione assoluta: se da un lato Cosimo finanzia le traduzioni dal greco e pone le basi del futuro neoplatonismo, dall’altro il suo inviato acquirente di libri Poggio Bracciolini, scrive il trattato a difesa dell’avarizia: “Allo Stato il denaro è necessario come i nervi che lo sostengono, e quando vi siano numerosi gli avari, essi devono esser considerati come la base e il fondamento di quello.” E così fa saltare il vizio capitale dell’avarizia. E dice anche: “Percorri pure tutta la città, le piazze, le case, i templi: se qualcuno affermerà di non volere più di quello che gli basti — la natura infatti è contenta di poco — ritieni di avere trovato la fenice.” E così salta anche il vizio capitale del lusso. Il greco, il soldo, il lusso: Firenze è ormai diventata la protagonista del Rinascimento. Successivamente, all’inizio del ‘500, le visioni morali d’Europa si spaccheranno in due, quella mediterranea italiana che continuerà a credere nei benefici del lusso, quella di Martin Lutero per il quale il denaro continuerà a essere, come lo fu nel medioevo, lo sterco del diavolo. Il banchiere per i protestanti torna così ad essere l’usuraio e ad avere il viso orribile di chi si allontana dalla morale per affogare nell’avarizia. Eppure da loro, dagli uomini della riforma nascerà l’altro capitalismo, quello di cui parlerà Max Weber, all’inizio del XX secolo.

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