Che cosa significa fondare una città all'epoca di Romolo e Remo?
Fondamentalmente si parte da un rituale fisso.
Viene scrutato il cielo per capire se gli dei vedano di buon avviso la fondazione di un nuovo agglomerato urbano.
Si sale su di un'altura, tanto per sgombrare il più possibile la visuale ed avere una visione completa di tutti e quattro i punti cardinali e lì, si aspetta un segno che possa esprimere il parere favorevole del cielo.
Romolo e Remo sono due fratelli, divenuti guerrieri e, soprattutto, consapevoli delle loro origini.
Trascorrono il loro tempo scorrazzando nei boschi per derubare i ladroni a favore dei pastori.
Siamo in epoca di Lupercali che sono delle giornate dedicate ad una festività importata nel Lazio dalla comunità degli Arcadi (popolo del Peloponneso, prima delle migrazioni indoeuropee).
Remo viene catturato in una scorribanda e portato dallo zio Amulio per essere giustiziato.
Romolo chiama a raccolta i pastori e di sorpresa assale la reggia per liberare il fratello e vendicare la loro madre, Rea Silvia, imprigionata da Amulio.
Il sovrano impostore è ucciso e sul trono di Alba Longa torna Numitore, il nonno dei gemelli.
"Ma perché volete che sia io a tornare al potere?", chiede il nonno Numitore.
"Dobbiamo raccontare noi, a te, la nostra storia?", rispondono i gemelli.
Il nonno, dalla lunga barba bianca, fatica a trattenere una lacrima che oramai gli corre lungo il viso.
Viene in soccorso del re la sacerdotessa di corte:
"Oh glorioso e tredicesimo re della stirpe di Ascanio, tu che hai regnato sulla città le cui origini si perdono nell'epopea di Enea, che da Troia e dalle sue infinite peripezie venne nel Lazio per fondare la nostra stirpe, accogli quanto i tuoi sventurati nipoti ti chiedono, e a cui gli dei hanno affidato ben altri compiti!".
La sacerdotessa smette di parlare e rientra in un mutismo pietrificato da un'espressione durissima nel viso.
Numitore risponde costernato:
"Sento parlare delle nostre nobili origini e di un futuro importante per i miei nipoti... ma io sono vecchio e stanco, non posso più regnare su Alba! Abbiate pietà di vostro nonno!".
Nonostante le suppliche, i gemelli non si piegano.
Non possono regnare sulla città!
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Loro di città ne vogliono fondare una... che sarà più importante di Cartagine, la città africana, famosa per Didone, l'amata di Enea...
"Facciamo così", dice Romolo a Remo, "Io salgo sul Palatino e tu vai sull'Aventino... mettiamoci su queste due alture e aspettiamo di conoscere il volere degli dei sull'opportunità o meno di fondare la nostra città".
"Ben detto, fratello!".
I due si dividono mentre rimane nelle zone circostanti tutto il seguito dei fratelli, la cui tradizione vuole che fossero stati allevati dalla lupa una volta salvati dalle acque impetuose del Tevere.
Giunge il tramonto. Nessun segno. Trascorre la notte.
I gemelli e la loro gente bivaccano in attesa degli eventi.
Intanto la madre adottiva Acca Larentia è preoccupata per la sorte dei suoi figli:
"Ahò, Faustolo, sposo mio... Io so' preoccupata pe' quei due...
Non si metteranno in un altro guaio co' 'sta storia della nuova città?".
Faustolo, che è un pastore saggio, risponde:
"Le cose sono cambiate per i ragazzi... ora che tutti sanno che non discendono da una lupa ma che sono invece figli di re... hanno una possibilità eccezionale per farsi valere nella comunità...
I nostri ragazzi li abbiamo bene allevati, sono intelligenti e sanno il fatto loro!".
"Sarà! Ma io so' preoccupata! Gl'ha già detto bene 'na vorta quando so' nati che l'hai raccolti tu sul fiume... mo' so' troppo in vista... potrebbero attirare chissà quante gelosie!", e detto questo Acca Larentia si addormenta raggomitolata su di un fianco accanto a suo marito.
Al mattino dopo, ancora nessun segno dal cielo.
Le scorte dell'acqua sono quasi al limite prima del tramonto del terzo giorno... quando, improvvisamente, Remo sull'Aventino avvista per primo sei avvoltoi che, in formazione, tagliano il cielo del colle.
Il popolo esulta e lo acclama re... ma mentre questo accade Romolo, che non si dà ancora per vinto, avvista ben dodici avvoltoi che volteggiano vistosamente sul cielo del Palatino.
La gente spegne subito i festeggiamenti per Remo... Romolo ha avuto un segno più importante dal cielo!
Chi è ora il re della nuova città?
Conta di più la precedenza dell'avvistamento oppure l'entità del segno?
Il popolo si divide. Remo, indignato, scende dall'Aventino.
Romolo è convinto che il numero doppio di avvoltoi avvistati sia il segno più che tangibile ricevuto dagli dei e con i suoi amici più fedeli inizia a dare seguito ai rituali di fondazione.
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La tradizione vuole che, dopo avere ricevuto il "parere favorevole" dal cielo, si aggioghi una coppia di buoi ed un aratro.
Poi, in processione, si tracciano i confini della nuova città.
Su queste linee verranno costruite le mura e poi le case del nuovo insediamento.
E' un momento forte, molto importante, pregno di sacralità.
Romolo traccia il solco guidando i buoi, mentre tutti gli altri in processione recitano una strana preghiera, stando attenti a non oltrepassare la linea tracciata sul terreno.
Chiunque, anche se per errore, oltrepassi i confini che si stanno tracciando nella cerimonia, deve morire perché questo costituisce un sacrilegio, un'offesa agli dèi.
Intanto Remo è indignato e, con la sua gente, sale sul Palatino.
"Non perdi tempo fratello?", urla Remo a Romolo, indifferente al rituale che si sta svolgendo.
"Non credi che dobbiamo discuterne? Io ho avuto il segno per primo!", e così dicendo si avvicina al fratello.
Romolo ancora non parla, sembra non voler cedere alle provocazioni del fratello, sicuro del suo avvistamento.
"Ti ho rivolto la parola, rispondi", Remo è fuori di sé.
"Ehi, ma non capisci che si sta svolgendo una cerimonia?", interviene un altro.
"Non ci vedo niente di sacro", risponde Remo, "E' tutto ancora da vedersi".
L'aratro viene lentamente tirato dai buoi.
La gente segue la linea e un filo di vento muove lievemente i capelli lunghi e riccioluti di Romolo.
I canti si fanno più acuti e le candele e le lucerne della processione sono state appena accese.
Remo come se fosse guidato da una forza superiore, non avendo ricevuto risposta dal fratello, compie un'azione irreparabile.
Scatta fulmineo in una corsa, raggiunge anzi, oltrepassa, la coppia di buoi e salta all'interno delle linee del quadrato il cui ultimo lato è in fase di completamento.
Corre all'impazzata saltando da un lato all'altro delle linee magiche.
"Sacrilegio!", urla Romolo disperato.
Remo ride sconsideratamente.
La gente attonita si accalca sul perimetro del quadrato.
"Ma quale sacrilegio! Ti sei montato la testa... non sei re di nulla... questa non è una fondazione ma solo un'usurpazione...", ribadisce Remo.
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Romolo è disperato, soprattutto offeso dal comportamento del fratello.
Pieno di rabbia, raccoglie un sasso e lo tira contro Remo che corre sconsideratamente qua e là.
Il sasso fende l'aria. Ha un sibilo sinistro. Raggiunge la testa del gemello e lo colpisce alla tempia destra.
Remo, come un uccello abbattuto, cade di colpo a terra.
Romolo lascia l'aratro e corre d'istinto verso il fratello.
Remo è immobile. Il sangue che sgorga dalla ferita gli solca la guancia destra.
Romolo piange e chiama suo fratello:
"Rispondimi, sciagurato, rispondimi, te ne prego!!!", ma Remo non risponde.
L'imbrunire prende il sopravvento e il freddo si impossessa del corpo di Remo, sempre più rigido.
"Abbiamo una nuova città e io ho perso il mio adorato fratello... per mano mia!", si dispera fra i singhiozzi Romolo.
Gli amici lo consolano:
"Lo hanno voluto gli dèi che hanno indirizzato il sasso in un punto mortale".
"Aveva superato il quadrato magico, questo si paga con la vita", affermano altri.
Ma nessuno riesce a dare conforto a Romolo il quale sente subito il dovere di dare il triste annuncio ai suoi genitori adottivi.
"Te l'avevo detto che finiva male", commenta dannandosi Acca Larentia, "Me lo sentivo... io so' ignorante ma certe cose le capisco ar volo!".
I giorni che seguono, dopo i funerali di Remo, vengono impiegati da Romolo nella costruzione del muro di cinta della città.
Tradizionalmente, il solco tracciato da Romolo sul Palatino, alle pendici del colle, racchiude quella che prende il nome di "Roma quadrata".
"Come se chiama sto' muro?", chiede Acca Larentia a Faustolo.
"Pomerio... è la terza volta che te lo ripeto", fa notare Faustolo a sua moglie.
La fortificazione non è solo un semplice confine politico o militare poiché ha anche un significato sacro, difeso da tabù e divieti. All'interno del pomerio, ad esempio, non si possono seppellire i morti e diversi templi in zone confinanti sono eretti a scopo protettivo.
Un primo confine della città va proprio dall'ara maxima herculia, altare dedicato ad Ercole, posto all'estremità del Circo Massimo, in direzione del Tevere, fino all'altra ara Consi, altare consacrato a Conso, dio dei magazzini dei grani, ubicato all'altra estremità del Circo. Un altro punto cospicuo viene stabilito nel tempietto dei Lari (divinità del focolare).
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Ma Romolo, nonostante l'attività frenetica attorno alla sua città, non riesce a consolarsi della morte del fratello.
"Non volevo ucciderlo, io non volevo", continua a ripetere sconsolato, nei giorni successivi la fondazione, "lo volevo solo fermare... sognavo la costruzione della città nuova con mio fratello, sognavo di averlo accanto a me!".
"E' stata una disgrazia", cercano di consolarlo gli amici, "o una volontà superiore... Però te lo immagini che problemi avresti avuto, pure per il nome?
Voi avevate due idee distinte di città. La tua si chiama Roma, dal tuo nome... altrimenti, come si sarebbe chiamata?".
"Che idea idiota...", replica Romolo, "Alle brutte ci sarebbe stata un'altra città sull'Aventino di nome Remora"...
Roma cresce di giorno in giorno e incarna lo spirito libertario del suo re, Romolo.
E' proprio una città aperta a tutti gli stranieri, tanto da diventare un grande miscuglio etnico. Vi confluiscono Ramnensi, Titiensi e anche Luceri.
Presto viene stabilito che le tre tribù principali si preoccupino della difesa di Roma sicché ognuna deve fornire una centuria (ovvero cento uomini) di cavalieri per la costituzione del primo esercito romano che si amplia con l'accrescimento demografico della città. E poco prima della sua fine, Romolo si riserva una guardia del corpo costituita da trecento guardie (i cosiddetti Celeri).
Egli dopo aver fondato Roma, sconfitti i nemici e allargato i confini, è un eroe triste che ha esaurito la sua missione.
Un giorno, durante un'esercitazione militare in Campo Marzio, il re scompare misteriosamente.
Si tratta di un miracolo?
Oppure qualcuno ha avuto qualche interesse nel farlo sparire?
Nello scompiglio generale, si consolida la tesi di un tale Proculo Giulio che abilmente annuncia di aver avuto una visione: Romolo gli è apparso per dirgli che Roma avrà un destino pieno di successi e che lui è andato via poiché chiamato dagli dèi.
Romolo viene allora identificato nel dio Quirino, protettore della città: dio che protegge le curie che sono una ripartizione in gruppi di ciascuna delle arcaiche tribù).
E così il primo popolo romano accetta la profezia e avvia il culto del dio Quirino, in attesa di eleggere un altro re, a tutela dell'ordine e dell'armonia della città...
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