Kamala




[Racconto di Paola Manoni]


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durata 29 minuti


Avevo diciotto anni quando la incontrai la prima volta.
Era un pomeriggio di inizio estate e avevamo appuntamento in un caffè rinomato della città.
"Non avrai problemi a riconoscermi perché indosserò un sari: sono indiana", mi disse lei al telefono.
Io andai all'appuntamento col mio solito scooter che legai a un palo nelle vicinanze.
Chinandomi per chiudere il lucchetto della catena, trovai in terra una carta da gioco, una regina di cuori.
La carta mi colpì soprattutto per il disegno che recava nel dorso: una chiave dorata.
La raccolsi e me la misi nella tasca del mio vestitino indiano.
All'epoca, come eredità della generazione dei figli dei fiori, avevamo ancora un'attrattiva per l'India e vestivamo volentieri con abiti provenienti dai bazar indiani... sicché il nostro appuntamento vide l'incontro di una ragazza con un ordinario abito di siffatta provenienza e una signora, elegantissima, con un autentico sari di seta, bordato con una decorazione kashmir.
Ci sedemmo a tavolino e ordinammo un succo di frutta.
Tiàm è una parola della lingua Farsi, intraducibile in un solo sostantivo italiano perché significa: lo-scintillio-negli-occhi-al-primo-incontro e si usa per esprimere quel qualcosa di speciale che avviene tra due anime che si intendono davvero e che si riconoscono con uno sguardo, senza averne una percezione cosciente.
Non necessariamente si riferisce a un'attrazione amorosa perché ha un senso più spirituale e ineffabile che, se d'amore tratta, lo riferisce a un livello universale.
Kamala, la signora indiana, aveva cinquantacinque anni, occhi intensi disegnati da una linea di kajal e senza ornamentazione del bindi sulla fronte.
Io ero da poco maggiorenne e ritornavo da una settimana di vacanza in barca a vela, su imbarcazione con il minimo di attrezzatura, all'insegna del purismo della navigazione a vela: senza motore ausiliare e col solo bratto di poppa oltre alla propulsione del vento.
L'abbronzatura intensa suscitò la curiosità di Kamala la quale, per mettermi a mio agio, mi fece parlare della mia vacanza trascorsa.
Il nostro appuntamento aveva in realtà un senso lavorativo.
La madre di un amico di mio fratello mi aveva proposto un piccolo lavoro: una sostituzione, per quindici giorni, presso un negozio di tessuti e oggetti artistici made in India... ma non il bazar d'indianerie: si trattava di un negozio di qualità in una strada del centro storico piena di vetrine di lusso.
E perché no? Pensai si potesse trattare di un'esperienza simpatica e rimunerativa.
Avevo del tempo libero perché il periodo di lavoro era nel mese di agosto e dunque si sarebbe svolto prima dell'inizio della scuola: l'ultimo anno di liceo.
Kamala era la titolare del negozio e voleva incontrarmi per decidere se fossi o meno la ragazza giusta a sostituire una delle due commesse in ferie.
Ma, come ripeto, ci fu subito un'immediata comprensione fra noi e l'incontro fu molto cordiale.
In altre parole, ero già stata assunta sebbene discutemmo di cose che somigliavano assai poco a un colloquio di lavoro.
Io ero nel pieno degli anni di infatuazione letteraria e parlai con l'elegante signora indiana della mia scoperta di libri come Le affinità elettive da un lato e Siddharta dall'altro... mentre lei sorrideva in modo enigmatico.

Durante il periodo di lavoro vidi Kamala solo due volte.

Un pomeriggio venne al negozio per portare degli abiti, cuciti per il mercato occidentale ma tessuti con seta e cotone straordinari per qualità, colore e disegno.
Era incredibile, ai miei occhi, lo scarto di valore con l'altra paccottiglia circolante nei negozi indiani che riempiva il mio armadio.
Compresi che la dimensione del manufatto indiano aveva una realtà di intrinseco valore spirituale e artistico.
Un semplice taccuino di carta di riso con la copertina decorata con colori vegetali (ovvero il più piccolo articolo del negozio) così come una yantra o una stoffa stampata, erano ognuno espressione di una tradizione culturale impressa nella materia.
E Kamala ne aveva un sacrale rispetto.
Disponeva gli oggetti del suo negozio con un tocco delicato e raffinato delle dita.
Aveva inoltre una vera e propria dote sensitiva nei confronti delle richieste dei clienti.
Ad esempio, finiva di allestire una vetrina nei toni di un determinato colore... e poco dopo entrava una cliente chiedendo esattamente abiti di quel colore!
Non ho mai pensato che queste circostanze fossero solo delle coincidenze.
Kamala aveva una capacità attrattiva impressionante e il suo negozio aveva la magica proprietà di evocarla.
E, come tutti i luoghi magici, aveva dei segreti, come la stanza nascosta che scopersi solo dopo diversi giorni il mio arrivo.
Una parete di pannelli di seta, a scacchi di diverso colore, in realtà era una porta scorrevole che si apriva sullo studio di Kamala.
Nello studio, evidentemente arredato da un bravo architetto, vi era una scrivania che si allungava in altri piani scomposti e forniti di cassetti colorati... poi alcuni puff cubici, ricoperti di seta naturale, erano sedili e portaoggetti.
Kamala entrava scalza nel suo studio e anche il gesto di togliersi le scarpe notai come fosse pieno di grazia naturale.
Il periodo di lavoro terminò e Felicita, l'altra commessa, mi consegnò una busta con il mio compenso.
Nella busta, oltre ai soldi, trovai un biglietto di Kamala che mi diceva:
"Carissima Elena, ti ringrazio per il lavoro svolto.
Felicita ha apprezzato molto il tuo aiuto e la tua compagnia.
Ti lascio il mio numero di telefono di casa perché se tu fossi interessata a condividere con me qualche conoscenza sull'India io ne sarei molto lieta."
Quando lessi questo biglietto mi batté forte il cuore.
Tornai a casa in autobus sognando a occhi aperti, come solo un adolescente entusiasta è in grado di fare.
L'autunno tinse le chiome degli alberi prematuramente.
A metà settembre - la scuola era appena iniziata - incontrai Kamala a casa sua.
Abitava in una villa in un quartiere residenziale che raggiunsi con la mia vespa cinquanta di colore rosso.
Al parco della villa si accedeva da un viale di pini mediterranei che poi si allargava in un ampio giardino attorno alla casa in cui vi erano piantati diversi alberi di origine sub-tropicale indiana, miracolosamente resistenti al nostro clima.
Una particolarità del giardino di Kamala era la presenza di piante di rosa disseminate nel prato e ai piedi degli alberi, sicché dai tronchi si scorgevano rose variopinte arrampicate per la corteccia.
Suonai al cancello e Kamala venne ad aprirmi, accompagnata da due cani basset hound: uno maschio dal corpo robusto e una cagnolina di taglia più piccola.
Kamala aveva capelli nero corvino raccolti in chignon e alla luce del sole facevano da contrasto a dei lucenti orecchini rotondi, segmentati in spicchi di pietre di diverso colore.
Mi accolse con un sorriso mentre si chinava per tenere a sé i due cani, tra le pieghe del sari.


"Non ho paura dei cani, può lasciarli liberi", dissi io mentre avanzavo spingendo la vespa a motore spento: non mi sembrava educato entrare in casa sua a tutto gas.
"Parcheggia il motorino nel viale, dove vuoi!", rispose Kamala.
Allora, sentendomi un po' ridicola per il mio ingresso a mano, col motorino, parcheggiai su un lato, fra due alberi, facendo attenzione a non inciampare nelle radici affioranti.
La casa era semplicemente bella.
L'ingresso era essenziale, decorato solamente con un grande mandala che occupava un'intera parete.
Al di sotto vi era una piccola cassapanca di foggia indiana e un altro paio di mobili bassi, in armonia col parquet scuro che rivestiva il pavimento di tutta la villa.
Dall'ingresso si aprivano diversi percorsi: la porta del grande salone, il corridoio dell'ala di servizio, la scala per il secondo piano e, proprio davanti alla porta d'ingresso, l'accesso allo studio di Kamala.
A quest'ultimo si entrava scendendo due gradini.
Era una stanza rettangolare: una delle due pareti lunghe, interamente a vetri, dava sul giardino, poco al disotto del prato, come se gli alberi affondassero le radici nel basamento dello studio.
La parete opposta era dipinta di giallo con smalto lucente e in alto vi era un grande lampadario da soffitto, di stoffa bordato di ottone, a forma di sole con un centro tondo e raggi tutto attorno.
La scrivania, parallela alla vetrata, poggiava su un lato alla libreria bianca che occupava interamente, dal soffitto fino a terra, una delle due pareti corte della stanza.
Vi erano poi un mobile consolle di colore giallo, con un lume da tavolo alla cui base vie era una scultura in ferro della Parvati, e accanto due poltroncine di stoffa indiana orientate verso la parete a vetri.
Sotto il livello della vetrata e sull'altra parete corta vi era un divano chaise longue, perfettamente disposto a elle, che ospitava sovente i due cani.
Kamala mi aveva proposto di aiutarla nella preparazione di saggi sulla cultura indiana.
Avrebbe voluto pubblicare una serie di scritti pensati per un pubblico italiano, direttamente in lingua italiana, per sfatare tanti falsi miti e luoghi comuni circolanti sull'India.
Quindi il mio ruolo avrebbe avuto una duplice funzione: ascoltare e poi coadiuvare nella stesura dei testi.
Come non avrei potuto accettare una simile proposta?
Avrei imparato cose nuove e contribuito a un lavoro intellettuale così importante!
All'atto pratico significava trascorrere molto tempo con Kamala, nella sua magnifica casa, per registrare i temi delle nostre conversazioni/lezioni.
La volta dopo avrei portato la prima stesura del testo su cui avremmo lavorato ulteriormente.
Il primo argomento che affrontammo fu il commento a una famosa yantra, L'isola dei gioielli, ovvero un diagramma geometrico mistico, nella cornice di un piccolo loto.
Mi fu subito chiaro, già da questo primo esempio, che le nostre categorizzazioni disciplinari occidentali - antropologia, storia dell'arte, filosofia, religione... - non potevano applicarsi al mondo indiano, perché per comprendere il significato che rappresentava la yantra si dovevano abbandonare tutti questi riferimenti categoriali.
Il significato della yantra implicava diversi piani che era totalmente inutile separare.
L'impresa non era facile e forse spiega perché Kamala scelse di farsi aiutare da un editor così giovane ma, a suo parere, brillante e con libere attitudini letterarie...
A parte i complimenti, poteva essere chiaro il motivo per il quale scegliere una persona molto giovane con poche idee preconcette sull'India.



La dimensione del tempo era un'altra caratteristica dei nostri incontri.
O più precisamente, la perdita della dimensione del tempo...
L'anno dopo, iscritta alla Facoltà di Filosofia, potevo dedicare anche la mattina ai nostri incontri indiani... ma anche se avevo diverse ore, Kamala riusciva a intrattenermi anche fino a tarda notte.
A metà mattina facevamo un intervallo con un tè.
Poi il pranzo, veloce, nella sua cucina fragrante di odori speziati.
E, mentre il sole tramontava fra gli alberi del giardino, si ritornava in cucina per preparare il tè del pomeriggio con merenda indiana: un dolce a base di semolino, con pistacchi, uvetta e cannella saltati in padella, con l'aggiunta di burro fuso e latte caldo.
Verso le otto di sera, mentre si era nel pieno di qualche discorso sul Mahabarata o su qualche simbologia di divinità indù, mi diceva candidamente:
"Non posso mandarti via a quest'ora senza averti dato da mangiare!"
Sicché rimanevo anche a cena e verso mezzanotte mi mandava via, magari con un fascio di rose che avevamo tagliato qualche ora prima durante una passeggiata in giardino.
Dopo un certo tempo del nostro discorrere e peregrinare per argomenti sull'India, Kamala iniziò a divagare.
E con quest'affermazione, mi rendo conto di esprimere il mio limite occidentale nel voler delimitare il pensiero...
Dico divagare perché Kamala sembrava aver cambiato obiettivo.
Non lavoravamo più su argomenti scelti e iniziò a raccontarmi cose inerenti alla sua vita personale.
E questi racconti, erano o non erano da riportare al nostro progetto?
Di fatto su questi non era necessario prendere appunti perché Kamala non mi chiedeva di scriverli.
Una di queste volte, per spiegarmi la sua personale esperienza con lo yoga mi disse:
"In famiglia seguivamo un guru, ma non credere che un vero guru sia il santone che si rappresenta in Occidente... adorno di collane.
Il nostro guru era un nonnetto, un calzolaio.
Voglio dire con questo che un autentico santo è una persona che sta in casa sua e che conduce una vita semplice."
Poi aggiunse:
"Una volta, in un periodo molto particolare della mia vita, quando stavo per divorziare da mio marito, il guru apparve in questo studio, proprio sulla poltrona dove sei seduta tu!"
Io rimasi senza parole.
Kamala aveva preso questo discorso divagando da tutt'altra cosa, sicché rimasi interdetta.
Lei continuò.
"Io non fui stupita della sua presenza qui perché conoscevo il suo potere di bilocazione.
Era mattina presto e io prendevo il tè, seduta a tavolino. Lui mi parlò, dandomi dei consigli importanti circa i miei problemi familiari, e poi si congedò con un sorriso molto intenso.
Poi avvertii in modo evidente un intenso profumo di sandalo.
Mi disse di avere cura di me e di chiamare mia sorella.
Ci sono circa cinque ore di fuso con Jaipur, nell'India del Nord, dove vivevano il guru e la mia famiglia.
Aspettai che fosse mattino in India e poi chiamai mia sorella, la quale mi disse con commozione di aver saputo che il nostro guru era morto nella notte."
Kamala mi raccontò tutto questo con molta semplicità, ovvero non intendeva parlare di un caso eclatante ma di una vicenda normale, come se avesse ricevuto la visita inaspettata di una persona.
Capitarono tante altre volte nelle quali Kamala mi raccontò di fenomeni, singolari dal mio punto di vista e che potremmo definire paranormali.
A questa parola generalmente Kamala, con le braccia sui fianchi, rideva di gusto.
Era una persona incredibilmente razionale e lo provava la conduzione del suo negozio.



Ma semplicemente trattava il mondo che definiamo irrazionale con totale naturalezza e accettazione.
Io ogni caso Kamala aveva una solido buon senso di vita e un grande acume, anche per il commercio... magari non completamente interpretato come si converrebbe nella nostra società.
Posso citare un episodio piuttosto eloquente.
Una delle due volte che Kamala capitò nel negozio, nel periodo che io sostituii la commessa in ferie, entrò una signora che stava evidentemente svolgendo un intenso shopping.
Era piena di pacchetti griffati e si aggirava nel negozio con aria di curiosità e sufficienza.
Toccava stoffe e vestiti in modo piuttosto grossolano.
Kamala era assorta nella lettura di un tabulato della dogana che accompagnava la merce appena giunta.
La signora si fermò a lungo a osservare un vestito che era in vetrina.
Era un magnifico prendisole di seta con piccole farfalle ricamate, di diverso colore.
"Quanto costa?", chiese la signora, rivelando una voce stridula.
Prima che Felicita, l'altra commessa, potesse rispondere, Kamala annunciò una cifra tre volte maggiore il suo prezzo vero.
Parlò senza nemmeno alzare gli occhi, continuando a leggere.
Io e Felicita ci guardammo stupite.
La signora sembrava stesse cedendo alla tentazione di provare l'abito ma poi fece una smorfia col viso e uscì senza salutare.
Felicita chiese spiegazioni.
Kamala ci sorrise e disse:
"E' molto semplice: non volevo che un lavoro artistico finisse gettato nell'armadio di una signora volgare che non può apprezzare il senso spirituale di questa creazione.
Sicché, se avesse accettato una cifra tanto alta, avrebbe dimostrato che mi sbagliavo e che era in grado di pagare tanto questo lavoro."
"Il che significa che se fosse entrata un'altra persona, con un atteggiamento diverso, la cifra sarebbe potuta essere anche inferiore a quella stabilita?", chiesi io.
"Esattamente! Se io avessi sentito un'intenzione diversa, il prezzo sarebbe stato tutt'altro."
Il ragionamento in se stesso era molto logico, anche se interpretava un'idea commerciale molto sui generis.
Ma Kamala era così, e quando le si facevano notare i suoi aspetti singolari così come la sua percezione del tempo assai poco democratica... lei rispondeva:
"Sono indiana."
Tutto qui, null'altro da aggiungere.
Il nostro progetto di scrittura, dopo un paio d'anni, subì una totale battuta d'arresto che fu Kamala stessa a determinare.
Io andavo da lei e il tempo, come dicevo, trascorreva denso ma non era più focalizzato sulla scrittura.
Il progetto non era accantonato ma Kamala non mi proponeva più argomenti da trattare e da scrivere.
A restare invariate erano le nostre pause in cucina: il tè con il dolcetto saltato in padella, dall'odore inconfondibile di cannella e pistacchi tostati, che accompagnava comunque il nostro pomeriggio.
Lei continuava a raccontarmi tante cose incredibili e fatti personali.
Kamala parlava con naturalezza di tutto, di cose razionali e irrazionali, come il potere della mente che materializza e smaterializza oggetti o del suo astrologo indiano che le aveva inviato il calcolo della sua data di morte.
Io, lo confesso, facevo una certa fatica a seguirla.
Soprattutto mi soffocava la sua gestione del tempo: sapevo l'ora in cui entravo nella sua magnifica casa ma non era mai preventivabile l'ora di uscita.
Io ero in grado di seguire il filo dei suoi discorsi e avevo una visione sufficientemente ampia per accettare e non etichettare le bizzarrie di certe comunicazioni.
Oltretutto avevo anch'io un certa propensione per l'irrazionale, anche se non lo avevo mai espressamente comunicato a Kamala... ma sicuramente lei lo aveva percepito, ne sono certa.
Ma non le avevo raccontato che mi dedicavo per gioco alla lettura delle carte perché non avrei mai voluto trovarmi nell'imbarazzo di leggergliele...
Trascorrevano gli anni e l'impegno universitario, così come molte traversie familiari, mi allontanarono da Kamala perché vederla era molto impegnativo e implicava molto tempo da dedicarle.
Dopo circa venti anni capitò che le inviai un messaggio di posta elettronica perché venni a sapere della morte di uno dei suoi figli.
Kamala era invecchiata e aveva dovuto lasciare la villa.
Separare Kamala dal suo giardino era come togliere l'acqua a una pianta: vederla in un ordinario appartamento, con le serrande abbassate, mi fece molta impressione.
Ci incontrammo e ci abbracciammo e, come un tempo, preparammo in cucina un tè accompagnato dal semolino saltato con cannella, pistacchi tostati e uvetta.
Tentai di riprendere un rapporto, avrei voluto aiutarla ma, nuovamente, la sua modalità di relazione era fagocitante e per questo persi di nuovo i contatti.
Un giorno, dopo diversi anni, ebbi un pensiero improvviso:
"Saprai della morte di Kamala attraverso il web", disse una voce interiore e mi venne in mente il pronostico del suo astrologo che, peraltro, non era corretto: aveva previsto la sua morte a 77 anni mentre lei ne aveva già 85...
Qualche tempo dopo verificai: purtroppo il mio strano pensiero corrispose al vero.
Digitai il nome e cognome di Kamala e appresi la notizia della sua morte.
Era autunno e lei era morta in giugno.
Difficile riportare il mio stato d'animo per questa notizia.
Kamala era stata per me guida alla scoperta di un mondo totalmente sconosciuto e le dovevo moltissimo, soprattutto perché mi aveva mostrato come i pregiudizi, le opinioni preconcette potessero limitare la conoscenza.
Inoltre mi aveva dato una lezione di inimitabile eleganza, gusto per le cose belle se autentiche e, come tali, piene di significato.
Dopo qualche mese da questa scoperta, e precisamente l'ultimo giorno dell'anno, mi accade un'altra cosa sorprendente.
Per la notte di Capodanno una mia amica mi aveva invitato a cena nella sua casa in campagna.
Con mio marito ci eravamo organizzati per fare un'escursione nei dintorni, sicché la mattina del 31 dicembre ci preparammo per stare fuori tutto il giorno e andare direttamente alla cena.
La mattina venne a casa nostra la persona che ci aiuta nei lavori domestici e ci portò, per l'occasione di fine d'anno, un dolcetto preparato dalla nuora indiana, a base di semolino, spezie e cannella.
Io lo conoscevo bene: l'odore di pistacchi tostati e della cannella lo tradiva, rivelandone l'identica preparazione della merenda di Kamala!
Rimasi molto colpita ma non dissi nulla, e di buon grado presi il pacchettino che preparai per portarlo fuori e condividerlo con gli altri amici a cena.
Mio marito ed io preparammo degli abiti di ricambio, da indossare per la sera.
In una shopper di tela avevo riposto con cura i miei vestiti, una collana e aggiunsi una bustina con il dolcetto indiano e un mazzo di tarocchi, che avevo ricevuto in regalo a Natale dalla stessa amica che ci invitava a cena.
Era un mazzo nuovo, che mi attraeva ma al contempo mi incuteva un certo timore, tuttavia volevo inaugurarlo: volevo far estrarre una carta a ciascun partecipante alla cena, come pronostico per l'anno nuovo.
Mio marito preparò la sua borsa e ci incamminammo per l'escursione; una volta arrivati sul posto, lasciammo la nostra autovettura perfettamente chiusa con le due borse per la sera nel portabagagli.
Al tramonto tornammo al parcheggio e mio marito ripose gli zainetti dell'escursione dentro il portabagagli. Io notai che il contenuto della mia borsa era sparso nel portabagagli e protestai.
"Ma cosa fai?", dissi a mio marito, "Hai riposto gli zaini in modo così sciatto che i miei vestiti sono ora sparsi e arrotolati... Era tutto piegato e stirato!"
Mio marito era pronto a giustificarsi: non aveva fatto proprio nulla!
E mentre sistemavo il tutto mi resi conto che era sparita la bustina col dolcetto e il mazzo di tarocchi.
Non potevo crederci.
Mio marito ed io frugammo ovunque.
Controllammo sotto la macchina, lungo il fossato della strada sterrata dove era parcheggiata l'auto.
Controllammo le serrature di ogni porta dell'auto.
Niente, nessun segno di effrazione.
All'interno era tutto a posto.
I vestiti di mio marito non erano stati toccati: l'unica borsa rovistata era la mia.
Ma come e chi aveva messo mano alla nostra auto?
Rimanemmo entrambi molto turbati dalla cosa e io ne rimasi condizionata per tutta la serata.
Poi mi rasserenai pensando che avrei trovato a casa la bustina preparata col dolce e con le carte e che, certamente, si trattava di una mia distrazione... L'avevo semplicemente dimenticata, anche se questo non poteva spiegare come mai la mia roba fosse stata rovistata malamente.
Tuttavia ricordavo perfettamente i gesti della mattina...
Quando tornammo a casa alle due del mattino mi misi subito a cercare...
Ma... niente, non c'era nulla!
L'indomani ispezionammo nuovamente con estrema cura l'interno dell'auto e le serrature senza trovare assolutamente nulla di strano.
Mio marito si dimenticò dell'episodio e, come fanno gli uomini, ridimensionò la cosa con spirito razionale.
Io continuai a pensarci per giorni.
Poi all'improvviso mi venne in mente Kamala per via dell'associazione col dolcetto.
Lei raccontava con estrema disinvoltura di oggetti smaterializzati...
Era stata lei l'autrice del misterioso furto?
E cosa avrebbe voluto comunicarmi con un tale gesto?
Solo la sua presenza oppure c'era dell'altro?
In me era scattata quell'attitudine a voler comprendere in modo categoriale.
Stavo analizzando in modo settoriale un'idea irrazionale assurda.
Mi arresi e il dubbio che la mia guida indiana fosse più che mai presente restò in me.
Vi era inoltre un altro fatto assolutamente inquietante: era sparito un mazzo di carte sul cui dorso vi era la medesima raffigurazione della carta trovata il giorno del primo incontro con Kamala: una chiave dorata!
Pensai che Kamala mi avrebbe raccontato questa storia in modo più che naturale mentre io non ero in grado di riportarla che con l'imbarazzo di un dubbio scettico... senza ancora comprendere il cuore del messaggio!
Allora smisi di ragionare in questa chiave e mi ricordai di quello sguardo, il tiàm, sicuramente ancora gettato tra le nostre anime.

 

 

 

 

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