Sono sempre i migliori
che se ne vanno
Ora che il lavoro non c’è più, i portoghesi emigrano verso le ex colonie in Sud America e Africa
Axel Bugge e Eduardo Simoes per The Globe and Mail Canada, 16 marzo 2012
In balia della peggiore crisi di sempre, i laureati portoghesi passano il tempo a scorrere gli annunci e il momento vuole che sempre più spesso scelgano di tentare l'avventura, a caccia di una vita migliore nelle ex colonie, Angola e Brasile in testa.
Ai tempi di Vasco da Gama e Pedro Alvares Cabral, quando aveva messo in piedi un impero durato 600 anni e più, il Portogallo è stato una grande potenza. Avventurieri contemporanei sono di nuovo in marcia: partono alla ricerca di lavoro e fortuna, che, se ci sono, sono lontani dalla Madre Patria.
"La crisi portoghese non fa che peggiorare; ecco perché sono arrivato in Brasile" afferma Fernando Silva, 49 anni, nel suo bar che vende bolinho de bacalhau in Amazzonia. "In effetti qui le cose vanno meglio assai".
Il Portogallo si è trovato costretto ad accettare aiuti per 78 miliardi di euro da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale, a causa di una crisi di debito che ha scatenato la recessione peggiore dagli Anni '70, quando il periodo di transizione verso la democrazia conobbe anche l'ultimo massiccio flusso migratorio. All’epoca, però, i portoghesi partivano alla volta di altri Paesi europei.
Fino a non molto tempo fa il Portogallo era invece una specie di calamita per migranti dalle ex colonie africane, ma ora che Lisbona lotta per la sopravvivenza nelle acque turbolente della crisi dell'Eurozona, il fenomeno ha cambiato corso e direzione. L'emigrazione è diventata, cioè, la scelta più rapida per chi desidera una vita accettabile, mentre l'economia nazionale annaspa sotto il peso del debito e di crescita e competitività ai minimi. Le ex colonie, invece, godono di ottima salute e sono diventate, pertanto, la meta più facile per chi cerca un futuro altrove.
In Portogallo il tasso di disoccupazione ha toccato un 14% da record; per i giovani la disoccupazione conosce la cifra ben più allarmante del 35%, e ci sono poche speranze per l'immediato di una ripresa rapida, capace di creare di punto in bianco posti di lavoro sufficienti.
Il signor Silva è uno di quelli che ha lasciato il Portogallo in crisi 14 mesi fa alla volta del Brasile, con in tasca solo la ricetta dei bolinho de bacalhau.
Il primo ministro Pedro Passos Coelho, che sapeva quanto pesano le indennità di disoccupazione sulla spesa pubblica, già di per sé da tagliare per far quadrare i conti, non ha potuto fare altro che incoraggiare la nuova tendenza, consigliando, per esempio agli insegnanti ormai senza lavoro, di prendere in considerazione "alternative nel mondo di lingua portoghese": "In Angola, ma anche in Brasile, c'è grande bisogno di forza lavoro specializzata per l'insegnamento nella scuola primaria e secondaria" disse a suo tempo, guadagnandosi gli strali dell'opposizione.
Joao Bentes, 26 anni, architetto appena laureato, teme di dover presto voltare le spalle alle coste lusitane. "Sono stato al centro per l'impiego e mi hanno detto che con la mia specializzazione in Portogallo avrei ben poco da sperare. Meglio allora dare un'occhiata all'estero".
Dina Paulista, 42 anni, è partita per a San Paolo del Brasile un mese fa, dopo quattro anni di ricerche di un posto come direttore della fotografia. "Avrei preferito non dover fare questa scelta per necessità. Ma questo governo non ci dà altra possibilità che fare le valigie e andare via".
Succede così che con il crescere della richiesta di personale ad alta formazione, Angola e Brasile attirano sempre più giovani dal Vecchio Continente.
Il Brasile ha vissuto tanto la dittatura militare che anni di economia altalenante, prima di diventare, negli ultimi dieci anni, la promessa potenza economica che è oggi. Parte del cosiddetto “BRIC”, con Cina, Russia e India, non tanto tempo fa ha segnato un bel gol sorpassando la Gran Bretagna nella classifica delle maggiori economie al mondo.
Migliaia di portoghesi avevano invece lasciato l'Angola quando il Paese era precipitato nella guerra civile seguita al crollo della dominio coloniale. C’è da dire che molti angolani avevano fatto lo stesso, per sfuggire alla violenza che impazzava nel Paese. Ora che in Angola regnano pace e prosperità, succede esattamente il contrario e Luanda, la capitale dell'Angola del petrolio, è diventata la città più cara del mondo per gli stranieri proprio grazie a quel boom petrolifero che ha scatenato forti appetiti di manodopera specializzata.
Helena Rato, una ricercatrice del Portugal’s National Administration Institute per lo studio dei flussi migratori, ci conferma che "insegnanti rimasti senza lavoro partono per Angola, Brasile e Mozambico" e che il fenomeno ha generato una nuova “razza” di migranti, fatta di infermieri, ingegneri e architetti. "Tutti i dati mostrano una crescente tendenza all'emigrazione, soprattutto di gente qualificata. Fenomeno ben diverso da quando a partire erano i poveri e chi non aveva istruzione" ribadisce.
L'Istituto Nazionale di Statistica rileva nel 2010 un aumento del 40% del numero totale degli emigrati, salito a 23760 persone partite verso le più varie destinazioni. Non sono disponibili al momento dati più dettagliati, anche se l'Ambasciata brasiliana di Lisbona parla di un numero di portoghesi residenti con permesso di lavoro in Brasile aumentato di 52000 individui del periodo 2010/giugno 2011, per un totale di 328860 individui.
Fonti di stampa portoghesi, invece, parlano di un numero di portoghesi in Angola più che quadruplicato per arrivare a 100 mila persone e cioè quattro volte il numero degli angolani residenti in Portogallo. Emigrare verso le ex colonie è per altro facilitato dalla ricchezza dei legami culturali e relazionali in genere tra i paesi dove si parla la stessa lingua.
Ricchezze favolose
Il Portogallo ha conquistato e successivamente sperperato le fortune favolose accumulate grazie alle colonie oltreoceano. Era il Paese che, di fatto, aveva inventato la “globalizzazione” già nell’Era delle Grandi Conquiste, con navigatori e mercanti che gestivano imprese commerciali sparse ai quattro angoli della Terra, dal Brasile all’Africa e dall'Africa all'Asia, lasciando un marchio culturale indelebile in posti a migliaia di chilometri l'uno dall'altro.
Nel 1822, la conquista dell’indipendenza della sua colonia più ricca, il Brasile, fu un duro colpo tanto per la ricchezza che per lo status del Portogallo negli equilibri del mondo. Da allora si sono verificati vari flussi migratori. L'ondata maggiore fu registrata soprattutto negli Anni 50, quando il Brasile avviò un piano per l'immigrazione perché doveva mettere in piedi una industria propria.
Celina Nunes, 59 anni, è emigrata 36 anni fa, perché uno zio viveva già in Brasile."A quelli che partono oggi consiglierei di tenersi pronti a rimboccarsi le maniche" ci dice la Nunes, che di mestiere fa la sarta. "Che vengano pure, basta che abbiano voglia di fare".
I territori africani del Portogallo, tra i quali Angola e Mozambico, hanno conquistato l'indipendenza a metà degli Anni '70, dopo il colpo di stato che aveva rovesciato la dittatura di Salazar.
La relativa facilità nell'ottenere un visto o parenti già residenti all'estero rendono il trasferimento più facile per i portoghesi, molti dei quali conoscono bene il Brasile, perché era una meta favorita per le vacanze.
"Per i brasiliani il Portogallo è la terra degli avi" ci dice Andre Ribeiro de Faria, pubblicitario di 35 anni che vive a San Paolo dal 2010. "La terra dove vivono quella zia o quel cugino, che possono darci una mano a mettere su le basi per un futuro. Una specie di Portogallo con orizzonti più ampi, insomma".
Anche Fernando Costa, che di anni ne ha 33 e che sta prendendo una seconda laurea, sta valutando la prospettiva di emigrare, anche perché la moglie è brasiliana e al momento senza lavoro. "Stiamo mettendo a punto il nostro Piano B. Lei ha la famiglia laggiù e laggiù andremo a cercare fortuna mentre il Portogallo regredisce ".
Come se non bastasse, anche le aziende portoghesi stanno incoraggiando la tendenza all'emigrazione, dal momento che fanno sempre più affidamento sulle filiali oltreoceano, o in Africa, per produrre crescita per la casa madre in patria, in sofferenza per la recessione. Ed è per questo che assumono connazionali professionisti disposti a partire.
Un trampolino per l'Africa
Le multinazionali, poi, usano il Portogallo come naturale base di lancio per operazioni sui mercati africani in rapida crescita. La settimana scorsa sono apparsi annunci di lavoro della KPMG per l'Angola, mentre la Pricewaterhouse Coopers assumeva a Capo Verde e un annuncio della Certho diceva: "Angola, Cercasi direttore generale per azienda in forte espansione".
Pedro Luz, 34 anni, seconda laurea in business management, è l'esempio classico di giovane manager attirato in Angola da salario e opportunità migliori. E' partito per un progetto che doveva in origine durare quattro mesi, ma che sa già si fermerà più a lungo. "Da stranieri qui possiamo aspirare a una vita che a casa non potremmo nemmeno sognare. Certo, l’Angola non mi sarebbe mai venuta in mente se in Europa la crisi non fosse così forte”.
Sicuramente è più facile partire se c'è già in ballo una prospettiva di lavoro; resta il fatto che sono molti anche quelli che partono senza garanzie. La Paulista, il direttore della fotografia di cui abbiamo parlato prima, accetterà un lavoro come insegnante. "Certo tornare a lavorare come direttore della fotografia sarebbe l'ideale, ma al momento non ho troppe speranze in merito".
E' anche vero, però, che così tanti specialisti che se ne vanno non renderanno la vita più facile per la madre patria, che comunque vuole uscire dalla crisi.
"La cosa triste è che partono proprio quelli che non vorremmo mai lo facessero" ci dice il professor David Patient, docente di gestione aziendale all'Universita Catolica di Lisbona...