Benvenuti al (Polo) Nord
STAMPA ESTERA - L’intervento russo nell’Artico per proteggere il Paese e le coste d’Europa dall'inquinamento. Di Jiulija Gutova
Russkij Reporter, 26 settembre 2012
L'Oceano Artico. Iceberg, giorno polare, orsi bianchi e il territorio russo più settentrionale, l'Arcipelago di Francesco Giuseppe, abbandonato da tempo da abitanti che hanno lasciato dietro di sé ciò che restava delle basi militari sovietiche: kerosene, bidoni arrugginiti, rottami metallici e rifiuti congelati. Ma ora sulla nave traghetto "Polaris" è arrivato un manipolo di 150 operai con la missione di ripulire tutto. Ecco come la Russia si accinge a difendere il pianeta dall'inquinamento. Ma perché così all'improvviso?
Non esattamente una regione qualsiasi
"E' arrivato il momento" dice il capo spedizione Aleksander Orlov, impegnato in questa crociata ecologista per le grandi pulizie dell'Artico. "I fatti sono questi: Vladimir Vladimirovich è venuto qui di persona. Ha visto cosa c'era e ci ha dato l'incarico di porre rimedio. Tutto qui"
Insomma, questo angolo di mondo va ripulito perché nel 2010 Putin è passato di qui. Dopo la sua visita il governo ha deciso di stanziare 1 miliardo e mezzo di rubli (370 mila euro) per le operazioni di risanamento ambientale. Putin era arrivato da queste parti per vedere da vicino un orso polare che gli zoologi avevano immobilizzato per sottoporlo ad analisi e mettergli un collare; mentre era in stato di incoscienza, l'allora premier gli aveva anche carezzato la zampa. "Guarda che Putin ha una passione vera per l'Artico" ci dice Orlov. La passione del nostro presidente per scienziati e animali selvatici è nota; non ci è dato sapere se sia corrisposta.
"Ma a noi, russi comuni, che ce ne viene di tutta questa faccenda delle pulizie dell'Artico?" chiediamo al capo spedizione.
"Scusi, ma lei a casa sua pulisce o no?"
"Ma sono parecchi milioni i russi che non vedranno mai questa parte di Nord! E poi non è mica ‘casa nostra’"
"Ma davvero? Sicura?"
In realtà lo stesso Orlov è personalmente interessato allo sviluppo turistico del grande Nord, perché ogni primavera organizza viaggi fino alla base "Barneo" che sta vicino al Polo. Se poi diciamo che sui siti delle agenzie turistiche specializzate queste ‘gite’ costano 25 mila dollari...Secondo il membro del Consiglio della Federazione Artur Tchilingarov gli europei avevano già preparato un progetto di bonifica del territorio russo della Terra di Francesco Giuseppe. Ed ecco perché a noi russi è venuto in mente di farlo da soli. "Lei cosa pensa, qual è la cosa migliore per queste isole, che ci pensino i russi o piuttosto i ricchi europei?" chiediamo. "Magari quelli avrebbero avuto cura di ogni filo d'erba"
"Questa è casa nostra e non facciamo entrare nessuno, così come lei non aprirebbe le porte di casa sua con facilità. Lei amministra una casa, il governatore una provincia, il presidente tutto il paese"
Ai tempi della Guerra Fredda le basi aeree erano sempre pronte all'attacco: quelle americane in Groenlandia, quelle russe nella Terra di Francesco Giuseppe. I barili di kerosene e di grasso non completamente utilizzati li buttavano sulla spiaggia, tanto non facevano che arrivarne altri. E così, le sette isole dell'arcipelago sono diventate una distesa a perdita d’occhio di barili arrugginiti con qualcosa come 60 mila tonnellate di derivati del petrolio, rottami di metallo e rifiuti di ogni sorta. Gli americani le loro basi le stanno già bonificando da parecchio e il signor Orlov lo sa bene, perché quando c'era la Guerra Fredda lui era un ufficiale della marina polare. La Terra di Francesco Giuseppe diventerà il Parco Nazionale "Artico Russo"; la prima isola ad essere ripulita sarà quella più raggiungibile, l'Ostrov Aleksandra, o Isola di Alessandro, sulla quale arriveranno alcuni operai da Arkhangelsk, bulldozer e ruspe Kamaz. Presto, dunque, diamoci da fare!
Qui si lavora
Quando la “Polaris” fa il suo ingresso nella Baia Severnaja, sulla sinistra si staglia la cupola bianca di neve del ghiacciaio. Davanti, oltre la nebbiolina, le silhouette di edifici quadrati lungo la riva. Poi un'imbarcazione a vela tutta bianca, con un alto albero maestro; è quella sulla quale scienziati e specialisti si spostano da un'isola all'altra. Si chiama “Alter Ego”. Poi la spiaggia, di un color ruggine intenso, con qualche macchia più chiara.
"Tra tutte le isole, questa è quella in condizioni peggiori" si scusa Orlov. Dappertutto sulla riva le bocche spalancate delle cisterne, come enormi scarafaggi che ne hanno vomitati sulla spiaggia altri insetti di ruggine più piccoli. Centinaia, migliaia di bidoni. Fino all'orizzonte. Interi, vuoti, acciaccati, pieni di grasso o di benzina, che sbavano roba nera o ossidati da una schiuma bianca. La baia è l'angolo più inquinato, umido e battuto dal vento di tutta l'isola. E' qui che passeranno gran parte del tempo i nostri operai: autisti e operai specializzati russi e uzbeki di Andizhan.
Quando siamo entrati nella baia, tutti volevano vedere l'Artico, gli orsi bianchi e i ghiacciai. Dal ponte guardavano gli iceberg che galleggiano vicini, come giganteschi pezzi di pane. Tutti avrebbero voluto almeno avvistare i narvali, ma quelli non erano dello stesso parere e non si sono fatti vedere. Lungo la fiancata della nave pezzetti di ghiaccio, come paperelle galleggianti, ma anche stivali militari e una moto d'acqua senza conducente. Il comandante dà ordine di mantenere la rotta verso il ghiacciaio. A causa di ritardi organizzativi e dei finanziamenti, anche le operazioni di ripulitura sono state rimandate, ma bisognerà fare di tutto per finire entro la fine di ottobre, perché allora inizierà la notte artica.
"Capito perché vogliamo venire qua?" ci chiede il primo brigadiere Oleg Andrejevich, il collaboratore di Orlov di stanza nella base “Barneo”.
"Perché vi piace?" azzardiamo. "Appunto"
"E voi …piacete a questa parte di mondo?" chiediamo.
"Chi lo sa. Non glielo lo abbiamo mai chiesto" risponde
Una volta a terra, gli operai arrivati con la “Polaris” vivono nel vecchio edificio delle autorità di frontiera "Nagurskaja", in un dormitorio condiviso, coi letti a castello. Il pranzo, ovviamente freddo - non potrebbe essere altrimenti - lo fanno all'aperto, nella tundra. Quindici ore di lavoro al giorno, con frequenti visite da parte di chi controlla, che arriva in aereo. "Sull'isola è vietato bruciare derivati del petrolio" ci spiega Orlov, dicendo che il prossimo anno sarà necessario acquistare costose attrezzature per lo smaltimento sicuro dei rifiuti. "Se bruciassimo i resti di carburante inquineremmo non solo i nostri territori ma anche tutto l'Artico e l'Europa intera"
"Avete più paura di inquinare l'Europa che non il nostro territorio?"
"Non è che è più grave inquinare l'Europa. Ma lei si immagina che figura faremmo davanti al resto del mondo?"
"Secondo lei non dovremmo bonificare l'Artico?" si stupisce Oleg Andreevic. "Lei non ci tiene a lasciare un segno nella storia?"
Una terra con una storia
In queste discariche a cielo aperto si è conservato tutto: bidoni, macchinari, scatoloni. Fa così freddo che quasi nulla è marcito, come dire che l’Isola di Alessandro ha ottima memoria, così come Evgenij Ermolov, il giovane collaboratore scientifico del Parco Nazionale "Artico Russo" che di mestiere fa lo storico. "In questo periodo stiamo lavorando all'eliminazione degli inquinanti accumulati" ci racconta. "Tra più o meno cinque anni l’Isola di Alessandro sarà bonificata. Non rimarrà traccia del passaggio dell'uomo, del quale dobbiamo però conservare il ricordo". I rifiuti sono dappertutto, ci sono fusti abbandonati anche lungo le strade. Evgenij ci porta nella tundra, coperta di rifiuti fino all'orizzonte.
"Vi rendete conto, qui vivevano delle persone. Missioni durissime, mica avevano vestiti e accessori che li riparavano dal freddo come noi adesso. La decima divisione contraerea e scienziati al servizio dei militari. Questa è una montagna di stivali che un tempo qualcuno ha indossato, qualcuno che ci si è congelato dentro. Ogni oggetto ha una storia che vale la pena raccontare. Vogliamo che queste migliaia di barili siano un monumento a quanto la vita e il lavoro da queste parti fossero duri. E’ l’aspetto ecologico-storico del progetto parco". Alcuni operai ridacchiano. Evgenij si mette a rovistare tra i rifiuti che hanno raccolto. Ci sono mucchi di rottami di metallo oltre un recinto di nastro bianco e rosso. "Salvare la natura dall'inquinamento e alcuni rifiuti dalla distruzione" facciamo notare."Mi consenta, la tutela della natura è un dovere e se l'uomo fa parte della natura deve scendere a certi compromessi. Ma per me che sono uno storico al primo posto c'è comunque l'uomo".
Patrimonio naturale
Ci portano con un pullmino a vedere il ghiacciaio. Di là dai finestrini un paesaggio di rocce coperte da qualcosa che sembra muffa. "Le è mai capitato di vedere la muffa al microscopio?" ci chiede il direttore dell'Ente Parco "Artico Russo" Marija Gavrilo. "Superfici di straordinaria bellezza e di struttura complicata, come una tela di Salvador Dalì".
La signora Marija lavora sull'Alter Ego; dirige una equipe di otto ricercatori impegnati in studi multidisciplinari che hanno lo scopo di individuare una suddivisione per zone dell'area. Devono stabilire le aree visitabili e quelle dove i danni ambientali sono irreversibili. Se poi qualcuno darà loro retta, non si sa.
"I muschi e i licheni che vivono quassù non si trovano da nessun’altra parte", ci dice. "Questa è la zona della cosiddetta tundra alto-artica. Licheni grigi e varie specie di muschio che convivono con molte specie vegetali, dai papaveri alle graminacee alle sassifraghe. Tundra poligonale, insomma: suolo che d'inverno si congela e d'estate si scioglie. Sotto l'effetto di certi fenomeni fisici, particelle di diverse misure si aggregano e danno forma a queste strutture che vedete, molto simili all’immagine dentro un caleidoscopio". Il terreno sembra infatti coperto dalla trama di una rete di sassi fino all’orizzonte (....)
Poi ci mostra il segno di un pneumatico che sembra fresco, ma è la traccia del passaggio di geologi, cinquant'anni fa ci dice Marija. (…) Anche il nostro pullmino lascia un’impronta. Nei cantieri dove oggi si lavora, bulldozer e ruspe Kamaz danneggeranno la tundra in maniera irreversibile per centinaia di anni, se non di più. Non è così grave, ci dicono. Una volta qui c'era solo un valico di frontiera con un paio di soldati, una terra di nessuno che oggi stiamo trasformando in terra di qualcuno. All'orizzonte si leva del fumo; bruciano legname di scarto. Stiamo contribuendo allo sviluppo del paese, ma chissà perché la cosa non mi fa sentire a mio agio.
"Chi c'è all'apice di questo microcosmo secondo lei?" chiediamo a Marija.
"L'orso bianco. E’ quello che si è adattato meglio alla vita tra i ghiacci marini. L'altro giorno la nostra barca era al largo, a circa cento metri dalle colonie di uccelli. C'era un'orsa polare con il suo cucciolo, molto piccolo. Ha avuto paura di noi e ha cominciato a scappare verso il ghiacciaio, su un pendio molto ripido, 60 gradi, che non l’ha fermata. Lei continuava a correre, e il cucciolo dietro. Noi non ce la facevamo più dal freddo, ma lei non si fermava. A noi mancava il respiro, lei ha proseguito anche attraverso una barriera apparentemente invalicabile. Un miracolo della natura". (....)
Terra di emozioni
"Perché dobbiamo salvare l'orso bianco?" chiedo a Sergej Najdenko, zoologo dell’Istituto Ambiente ed Evoluzione dell’Accademia delle Scienze Russa, che è qui per capire come impedire l’estinzione dell’orso polare. (…)
"Non credo che l'intero ecosistema artico crollerebbe se sparisse l'orso polare, rimarrebbero trichechi e balene. Ma l'orso polare è per l'Artico un bel simbolo, con un valore quasi estetico per il Polo Nord" risponde. Ne deduciamo che si salvano gli animali "belli" e quelli brutti no.
"Gli studi scientifici hanno bisogno di finanziamenti, anche privati. E le assicuro che troveremmo molti più soldi per la tutela della tigre siberiana che per l'arvicola, anche se l'arvicola se la passasse davvero male..." Gli zoologi sono arrivati quassù chiamati da chi ha organizzato la spedizione di bonifica, anche per ridurre la paura degli orsi polari. Se un orso si avvicina troppo ai cantieri, questi scienziati lo narcotizzano, identificano e portano in un posto più sicuro per tutti, per gli operai e per l’orso stesso. E qui viene il bello, perché i responsabili del futuro parco vorrebbero che sull'Isola di Alessandro non ci fosse nemmeno un orso bianco per non dare fastidio a chi sta lavorando, mentre gli scienziati vorrebbero che sull'isola ci fossero quanti più orsi possibili, in modo da poter studiare un bacino di esemplari più numeroso. E la strana convivenza va avanti con sentimenti contrapposti, perché per gli zoologi gli orsi dovrebbero essere quanto più lontani dalla zona umanizzata per poterli catturare e sottoporre ad analisi, e per gli operai gli orsi dovrebbero ogni tanto avvicinarsi, così da poterli fotografare. (….)
"E' una sensazione forte quando ti trovi davanti un animale selvatico. Una bella botta di adrenalina " mi dice Sergiej.
"Sei quassù per l'adrenalina" gli diciamo.
"No. Sono arrivato quassù per raccogliere quanto più materiale possibile, ma anche per sfuggire alla routine del lavoro di laboratorio"
Terra di uomini illustri
"Quest'anno verranno portate via dall’isola ottomila tonnellate di rottami metallici” dice il ministro delle risorse naturali della Federazione Russa Sergiej Donskoj. “Ma sono i prodotti petroliferi i più pericolosi per l’ambiente, soprattutto quando arrivano al mare. Entro il primo settembre tutti i rottami di metallo verranno pressati in 3683 tonnellate per le quali abbiamo già pronto un progetto di riciclo". Va be’, incredibile, toccherà darsi una mossa, pensiamo. “Ci vorrà il know-how e tutto il resto. Ci sono idee, per il riciclo insomma…?” Ok. Il ministro si gira e cerca lo sguardo dei collaboratori, come a dire "Giusto? Ho detto bene?"
"Come sarebbe a dire darsi una mossa? Qui lavorano già in condizioni estreme!" chiede qualcuno al ministro. La risposta arriva subito, con allusioni alla necessità di portare sul posto macchinari speciali per l'ottimizzazione dei lavori.
"Come sarebbe a dire nuove tecnologie? Quale sarà l'impatto di queste nuove tecnologie sulla già fragile tundra?" insistono.
"Giusto. Ne dovremo tenere conto. Non possiamo esimerci dal tenerne conto" Il ministro sospira e va avanti. "La tundra è fragile, le macchine, le gru, i bulldozer lasciano tracce indelebili per decenni, è per questo che useremo un approccio di tipo diverso". Altro sospiro, altro giro. "Guardate, si tratta di un progetto pilota. Capito? E' qui che vedremo cosa e come funziona. Magari troviamo la maniera giusta…"
"Ma come farete ad accelerare i tempi?"
"Ma avete visto quanto c'è da fare? Ce n'è abbastanza per tutta la vita di quelli che stanno qui!" E questa è l'unica risposta che si riesce a ottenere dal ministro sull’ultima questione.
Artur Tchilingarov, che fa parte del Senato della Federazione Russa, partecipa in qualche modo a questa spedizione. "Nella base antartica americana “Amundsen-Scott” al Polo Sud non ammetteranno mai visitatori, per nessun motivo, solo spedizioni scientifiche""E invece noi russi al Polo Nord ammettiamo tutti" diciamo noi.
"Vero"
"E questo tipo di passaggi non sono dannosi?"
"Ma il Polo Nord è ben lontano da qui. Non l'ha mai visto nessuno, tranne me" dice alludendo a quando si è immerso sotto ai ghiacci polari e ha piantato una bandiera russa sui fondali artici.
“E come la mettiamo con la salvaguardia dell’ambiente?”
"Sì, sì lo so cosa dice il Fondo Mondiale per la Natura, e ne teniamo conto, ma noi la pensiamo in un altro modo. Per noi viene prima l'interesse nazionale. La conservazione della natura è un dovere. Ma come la mettiamo con il settore produttivo? Volete vivere comodamente - elettricità, TV, radio. Chi le fa? Bisogna solo fare in modo che l'industria sia sostenibile. O altrimenti scegliamo di vivere come Adamo ed Eva" E questa risposta gli piace un sacco. (....)
Nel 1942 sulla Isola di Alessandro c'era una stazione meteorologica tedesca. Evgenij, lo storico, aveva raccolto materiale interessante, ma poi sull'isola sono arrivati illustri visitatori moscoviti e in presenza dei funzionari della direzione del parco che sarà si sono portati via il suo lavoro come souvenir...
Andiamo allora da Stanislav, un autista qui per manovrare le ruspe Kamaz. Gli chiediamo a bruciapelo: "Perché si deve conservare la natura nell'Artico?"
"Perché è parte del Creato di Dio. E allora va fatto e basta" (..........)
Meta turistica e terra di regole da rispettare
Passeggiare per la tundra significa calpestare muschi che ci metteranno decine di anni per ricrescere. Elastico, morbido, piacevole da sentire sotto i piedi, anche con gli stivali di gomma. Paesaggio avaro, ma esotico. La Terra di Alessandro quasi non ha odore e non produce nessun rumore. Poi passiamo vicino a un nido di sterne, che iniziano ad agitarsi e urlare per farci allontanare. "Disturbare gli animali è sanzionabile dal Codice Amministrativo"
"E se sono gli animali che disturbano gli umani?"
"Guarda quelle anatre! Spara! Spara!" Scherza il fotografo che viaggia con noi.
"Uccidere specie protette è reato penale" ci rispondono. Tutto quello che un umano fa o vorrebbe fare su quest'isola sembra governato da un qualche codice.
Tornati al campo base, il regista delle riprese ripensa agli operai che abbiamo visto. Molti sono uzbeki.
"Ma ci avete fatto caso?” dice. "Quasi nessuno degli operai russi parlava con gli uzbeki, che eppure hanno accettato di lavorare in condizioni estreme come queste. Portiamo civiltà e progresso alla fine del mondo e l'umanità si divide ancora tra "bianchi e neri"".
La mattina dopo va a parlare col Metropolita di Arkhangelsk Daniil che non ha saputo resistere a questo viaggio nelle Terre di Francesco Giuseppe. "L'arcipelago di Francesco Giuseppe soccombe sotto il nostro egoismo, perché ognuno arriva qui con un proprio scopo", poi si abbandona a una riflessione sulla mancanza di una dimensione spirituale nella Russia sovietica.
"E' triste vedere che lo scopo della bonifica è in realtà trarre profitto dallo sfruttamento turistico della zona. A nessuno importa niente della salvaguardia della natura" mi dice un compagno di viaggio ecologista.
"Ma quale natura vuoi salvaguardare quassù!?" mi dice uno della troupe televisiva al seguito. "Non ci cresce niente qui, a parte 'sti muschi"
"E fanno anche il museo dei resti e dei rifiuti" ci fa notare il ricercatore che si occupa di orsi polari. "Che valore storico possono mai avere!?"
"E gli orsi polari, allora?" si immette nella conversazione una guardia di confine. "Ma magari sparassero a tutti!" ….