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26/07/2012

Poche armi, pochi omicidi

STAMPA ESTERA - Uno sguardo al Giappone, che ha quasi eliminato del tutto gli omicidi collegati alla diffusione delle armi da fuoco. Di Max Fisher

The Atlantic (USA), 23 Luglio 2012


Mi hanno detto che se fai un giro per Waikiki non passerà molto prima che qualcuno ti offra un opuscoletto, con foto di donne scollacciate armate di pistola, che fa pubblicità, in inglese e giapponese, a uno dei tanti poligoni del posto. Il più grande in città si chiama Royal Hawaiian Shooting Club e vanta istruttori che parlano bene giapponese, che è anche la lingua prima del suo sito internet. Da anni questa peculiare attività hawaiiana ha …preso di mira (senza fare nulla per nasconderlo) i turisti giapponesi, tenendoli lontani da spiagge e resort per trascinarli in centri commerciali dove verranno invitati a fare cose che nel paese di origine sarebbero loro vietate. I poligoni, pieni zeppi di giapponesi, sono l’attrazione principale di quasi tutte le mete turistiche di Waikiki ed anche il crocevia di due società molto diverse, che si distinguono anche e soprattutto per l’atteggiamento nei confronti del possesso delle armi da fuoco e per il ruolo che queste ultime occupano nell’organizzazione sociale. 

Lo spaventoso massacro del cinema di Aurora, Colorado, ha riacceso il dibattito sulle leggi americane che regolano la diffusione e il controllo delle armi da fuoco - le più ‘disinvolte’ di tutti i paesi sviluppati - e sul numero di omicidi ad esse collegato, che invece è il più alto al mondo: dei 23 paesi ricchi, gli Stati Uniti registrano quasi 20 volte più omicidi che gli altri 22. E il tasso di possesso di armi in America è il più alto al mondo, con quasi un’arma a testa. Al secondo posto ci sarebbe lo Yemen, che sarà sì tormentato dai conflitti tribali, ma che vanta un tasso di omicidi comunque pari alla metà di quello degli Stati Uniti. Vediamo ora chi c’è all’altro capo di questa classifica. Quanta importanza hanno le armi in Giappone, la nazione con meno armi ma più controlli in assoluto? Nel 2008, quando gli Stati Uniti contavano oltre 12 mila omicidi collegati alla diffusione delle armi da fuoco, in tutto il Giappone ce ne erano stati 11, ovvero meno vittime di quante ne abbia fatte il killer di Aurora l'altro giorno da solo. Pensate che quell'anno fu addirittura una pessima annata, perché nel 2006 c’erano stati 2 (due!) omicidi in tutto. Quando, nel 2007, il totale era balzato a 22, in tutto il paese si gridò allo scandalo. Giusto per fare un paragone: negli Usa nel 2008 sono stati 587 solo gli americani uccisi da colpi partiti per errore.

In Giappone quasi nessuno possiede un'arma dal momento che tutte, o quasi, sono illegali, e che per acquistarne o averne una in genere esistono pesanti restrizioni. Persino la famigerata Yakuza tende a stare lontana dalle pistole; le rare eccezioni finiscono a titoli cubitali sulle prime pagine dei giornali. Se fossero in patria, i turisti giapponesi che vanno a fare un paio di tiri al poligono Royal Hawaiian Shooting Club sarebbero accusati di almeno tre reati: uno, avere una pistola in mano, due avere proiettili senza licenza; tre, l'utilizzo dei medesimi; solo la prima di quelle violazioni prevede una condanna da uno a dieci anni. Le pistole sono assolutamente vietate e già dal 1971 è vietato vendere, comprare o trasportare carabine anche di piccolo calibro. Chiunque possedesse un'arma del genere prima di quella data ha potuto tenerla, con l’obbligo per gli eredi di consegnarla alla polizia subito dopo la morte del proprietario. Le uniche armi che un giapponese può eventualmente acquistare sono i fucili da caccia e le carabine ad aria compressa, ma non pensiate sia una roba facile.

Nello studio sull'uso delle armi da fuoco in Giappone pubblicato da David Kopel nel 1993 nella Asia Pacific Law Review, viene spiegato in maniera dettagliata il da farsi (Kopel non è uno strano tipo di sinistra ma un membro della National Rifle Association, con idee riguardo a leggi più leggere che avrebbero fermato secondo lui anche Adolf Hitler…). In Giappone, per comprare un'arma, uno deve prima di tutto seguire un corso a tempo pieno di un mese e superare il relativo test scritto, dopodiché dovrà prendere lezioni e passare l’esame di tiro, prima di rivolgersi a una struttura sanitaria per ottenere i certificati che attestino salute mentale e assenza di dipendenza da droghe da presentare alla polizia. Seguirà un’approfondita e rigorosa analisi della fedina penale, completa di eventuali adesioni a gruppi estremisti, da parte delle autorità competenti. Solo alla fine di tutta questa trafila uno potrà diventare il felice proprietario di un'arma da fuoco, carabina o fucile da caccia che sia, dopo aver dato dettagliate informazioni su dove arma e munizioni verranno custodite, in posti distinti che si possano chiudere a chiave. La polizia ispezionerà l'arma una volta l'anno e la procedura di cui sopra andrà ripetuta ogni tre anni. Chiaro quindi che in fatto di armi Stati Uniti e Giappone sono lontani anni luce già dalle premesse. Tanto per dirne una, la legge che regola la materia negli Stati Uniti apre con il Secondo Emendamento, che afferma “il diritto di un cittadino a portare armi"; quella giapponese prende spunto da una legge del 1958, modificata negli anni successivi, in base alla quale "nessuno può possedere né una né più armi da fuoco,  né una o più spade". In altre parole, la legge USA sancisce l'accesso alle armi, quella nipponica le vieta - punto.

Raccontare come si sia arrivati a posizioni tanto diverse è difficile, ma vale la pena ricordare che la Gun Law americana affonda le sue origini nella resistenza alle restrizioni britanniche in fatto di possesso di armi da fuoco, mentre una certa scuola di pensiero attribuisce l'atteggiamento del Giappone al disarmo forzato dei samurai, che spiegherebbe in parte la citazione di ‘spade e pistole’ nello stesso paragrafo della legge del 1958. Va da sé che USA e Giappone sono già diversi assai dal punto di vista storico e culturale, figuriamoci in merito al tema che stiamo trattando. Nel suo studio Kopel spiega anche che i giapponesi sono in genere più tolleranti nei confronti del potere di cui la polizia ha bisogno per far rispettare il suddetto divieto. "I giapponesi, tanto il cittadino qualsiasi quanto il criminale, sono disposti a subire perquisizioni e rispondere a domande della polizia più di quanto non lo siano gli americani" scrive. Per altro la polizia giapponese stessa non era armata fino a che le forze di occupazione americane non la obbligarono a farlo nel 1946. Oggi un poliziotto giapponese riceve più ore di addestramento rispetto a uno americano, non può portare la pistola quando non è in servizio e passa molto tempo a studiare arti marziali, perché "l'uso delle armi è consentito solo in condizioni particolarissime".
Le mentalità americana e giapponese in fatto di armi, privacy, criminalità e potere della polizia sono così diverse da consentire pochissimo spazio a chi volesse lanciarsi in un confronto dettagliato. Né è più facile fare un bilancio tra costi e vantaggi dell'atteggiamento giapponese nei confronti delle, che ha generato il secondo più basso numero di omicidi al mondo,
anche se a costo di limitazioni che Kopel chiama "stato di polizia", ovvero un posto dove il governo esercita troppo potere sul cittadino in genere. 

Dopo tutto il Secondo Emendamento della Costituzione americana vorrebbe, almeno nelle intenzioni, mantenere la "sicurezza di uno Stato libero", facendo sì che il governo non abbia il monopolio della forza. Vale la pena a questo punto ricordare un altro ‘stato di polizia’, la Tunisia, che aveva il più basso indice di possesso di armi al mondo (un'arma da fuoco ogni 1000 abitanti, laddove negli Stati Uniti è 890!) quando la popolazione ha rovesciato una brutale dittatura durata 24 anni e dato vita alla Primavera Araba