La polvere nel ventilatore

di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella

Collaborazione di Eleonora Zocca e Lidia Galeazzo
Immagini di Paolo Palermo
Montaggio di Marcelo Lippi, Andrea Masella e Michele Ventrone


Il marchio Philips è sinonimo in tutto il mondo di alta qualità e design. 
Televisori, stereo, rasoi elettrici: il meglio dell’elettronica di consumo che ha fatto la fortuna della multinazionale olandese. Un colosso da quasi 20 miliardi di euro di fatturato l’anno che presidia anche il settore dei dispositivi medici. Ma i bilanci dorati adesso sono minacciati da possibili risarcimenti milionari: per anni Philips ha venduto dei respiratori, che aiutano i pazienti con l’apnea del sonno, contenenti però una schiuma fonoassorbente che si degrada e può finire nelle vie aeree. Il materiale oltre al particolato irritante emette anche composti organici volatili dei quali si stanno testando potenziali effetti cancerogeni. Ora l’azienda sta rimpiazzando tutti i dispositivi per tutelare gli utenti, ma si è trattato di un incidente di percorso o di una colpevole negligenza? E soprattutto come è stato possibile che questi dispositivi siano stati usati per curare numerosi pazienti Covid-19? Report ha provato a far luce sul caso.

Il carteggio con il Tuv Sud, l’ente notificato che ha rilasciato il marchio CE alla linea di respiratori Philips Respironics
L'integrazione da parte dell’ufficio stampa di Philips, pervenutaci dopo l’intervista al loro Chief Medical Officer

Nel corso dell'inchiesta “La polvere nel ventilatore", è stata mostrata una mascherina della società ResMed, collegata ad una Cpap Philips ritirata al paziente Daniele Santoro per motivi di sicurezza. ResMed ci ha scritto per sottolineare che la sicurezza del paziente è la priorità assoluta della società e per confermare, come riportato correttamente anche da Report, che ResMed non è coinvolta in alcun recall.