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Per il bene comune

L'intervista a Sigfrido Ranucci sul Radiocorriere Tv

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LINK: https://www.rai.it/dl/doc/1729502763708_N43.pdf
Ventotto stagioni, centinaia di inchieste. La televisione e il Paese hanno sempre bisogno di “Report”? Assolutamente sì e in questo momento ancora di più. C’è bisogno di una trasmissione indipendente, coraggiosa, che non faccia sconti a nessuno e che soprattutto sia al servizio del bene comune. Che non sia la vetrina del potere ma la finestra sul potere. Da dove riparte il viaggio di “Report”? Avremo mezz’ora in più, che non abbiamo chiesto, e che per le risorse che ci sono state lasciate avremo difficoltà a realizzare. Nei momenti di difficoltà, mi hanno insegnato i miei maestri, bisogna sperimentare, inventare, investire sul futuro. E così avremo una novità assoluta, faremo in house il progetto “Report Lab”, il laboratorio di “Report”, che era nato con Franco Di Mare, fatto con giovani giornalisti che realizzeranno inchieste dal passo lungo, soprattutto nella prima mezz’ora del programma. Questo consentirà ai colleghi di crescere, di cimentarsi sulle inchieste più complicate, di avere la giusta visibilità che meritano. Sono tutti molto bravi, è un investimento sul futuro ed è un modo per allungare la vita a “Report” nel rispetto dell’Azienda pubblica. Se solo riusciremo ad avere lo stesso risultato, ma io spero anche qualcosa in più, di quelle trasmissioni che al contrario nostro hanno avuto più risorse per essere realizzate, allora saremo felicissimi. In un momento storico in cui la strada più battuta sembra essere quella della semplificazione della narrazione, qual è la via migliore per raccontare la complessità? Intanto attenersi ai fatti. “Report” rimarrà sempre fedele alla mission che si è data all’inizio, che era di Milena Gabanelli, costruire il romanzo dei fatti. Bisogna farlo con coraggio, abnegazione, indipendenza, che è un concetto completamente diverso dal pluralismo. Vorrei trasmissioni che svolgano il proprio ruolo di cane da guardia della democrazia. Spesso ci riempiamo la bocca con questa frase, io invece vorrei riempirla di contenuto. Cosa significa, per un giornalista, scegliere? Penso al senso etimologico della parola, ex eligere, elevare quei fatti che sono più importanti e che hanno una maggiore ricaduta sulla collettività, eleggere nelle nostre scelte il bene comune. Il nostro lavoro è molto più importante e ha un senso più elevato di quello che crediamo: non deve essere svilito dall’essere servili nei confronti di un politico, di un editore o di un imprenditore. Ma deve avere come stella polare il bene comune. Nella scelta, e “La scelta” è anche il titolo del tuo libro che racconta la grande avventura di “Report”, serve più coerenza o più coraggio? Essere coerenti è una scelta coraggiosa, soprattutto di questi tempi. In questo viaggio di 15 mila chilometri che ho fatto negli ultimi mesi per presentare il libro ho incontrato tanta gente per bene che chiedeva semplicemente profondità, verità, indipendenza, qualcuno voleva solo abbracciarmi perché mi riteneva uno di famiglia. Ho avuto un incontro particolare a Modena: una madre mi ha portato la lettera della figlia, che da quel giorno porto sempre con me. Una ragazza malata di tumore che non c’è più e che ha passato gli ultimi due anni della sua vita a vedere le puntate di “Report”. Mi ha scritto questa lettera perché mi considerava uno di famiglia, per il lavoro svolto dalla squadra anche per il suo bene. Credo che questo dia senso al nostro lavoro. Diciotto anni a “Report”, se potessi ricominciare rifaresti tutto da capo? Credo assolutamente di sì. È stato coronare un sogno, trasformare una scelta nel lavoro più bello che potessi fare, per essere utile alla comunità. Un lavoro che mi ha appassionato, che ha messo anche in difficoltà la mia vita privata, ma che almeno ha un senso. È un privilegio Quali temi affronterete nella prima puntata? Partiremo dal ministro Giuli, porteremo poi delle novità sulla vicenda del quadro del Manetti, rubato nella villa di un'anziana signora e del tutto simile a quello che aveva Sgarbi,  racconteremo di una strage nascosta, dopo quella di Cutro e parleremo del sistema Genova.