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L'intervista ad Alessandro Cattelan sul RadiocorriereTv

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Dal 12 novembre su Rai 2 con “Sanremo Giovani” e a febbraio su Rai 1 con il “DopoFestival”. Il conduttore al RadiocorriereTv parla del suo rapporto con la musica (che cambia), della gara delle nuove proposte e del Festival: «Un bel ricordo d’infanzia, lo guardavo con mia mamma e cercavamo di anticipare la classifica. Intorno ai vent’anni l’avevo un po’ perso di vista, poi l’ho recuperato quando è tornato ad avere una rilevanza sia di costume che musicale». I suoi brani sanremesi preferiti?: «“Perdere l’amore” e “La terra dei cachi”». 

La musica, i giovani, la gara… quasi una comfort zone per lei. Come si appresta a vivere questa esperienza?
Bene, perché come diceva lei è materiale che conosco, il talent musicale l’ho fatto per tanti anni. “Sanremo Giovani” ha delle particolarità, delle novità di struttura rispetto a quello che sono stato abituato a fare, che secondo me sono molto giuste. A partire dal fatto che saranno gare molto serrate: 24 cantanti, sei a puntata e si scontreranno l’uno contro l’altro, con duelli molto efficaci sin da subito. Avremo immediatamente un eliminato e uno che passerà alla fase successiva. Ogni puntata avrà tre eliminazioni, ciò significa che la tensione sarà sempre molto alta, e poi durerà un’ora, che dal mio punto di vista è la durata giusta per ogni programma televisivo, senza eccezione. Sono felice che non ci sarà tempo per annoiarsi.

Che impressione si è fatto degli artisti che prenderanno parte alla selezione?
Per il momento li ho solo ascoltati, a valutarli è stata la giuria. Dal vivo li vedrò a breve. Mi sembra siano molto vari, c’è tanta rappresentazione di quello che va ora, ed è normale che sia così. Sono ragazzi che imparano da ciò che sentono.

Negli ultimi anni abbiamo visto la canzone sanremese cambiare, che caratteristiche deve avere un brano per poter funzionare a Sanremo?
La musica è cambiata e secondo me è un po’ il segreto di questa nuova allure che ha preso Sanremo. Un tempo la canzone sanremese per antonomasia doveva parlare d’amore, doveva essere lenta, avere un certo tipo di arrangiamento, negli ultimi anni è stato fatto un grande lavoro, già a partire dal primo festival di Carlo (Conti), poi Claudio Baglioni e Amadeus, che ha dato proprio un’accelerata in questo senso. Oggi Sanremo è molto più contemporaneo e attuale. Ha cominciato a diventare quello che era “X Factor” ai tempi, dove gli inediti dei cantanti erano contemporanei.

Il musicista e la sua immagine: funziona più vestirsi di un personaggio o essere se stessi?
Dipende dal tuo portato. C’è chi punta tanto sul contenuto, e presentarsi in maniera più neutra, più vicina al proprio personaggio funziona di più, e chi invece ha bisogno di qualche paillette in più. È il mondo dello spettacolo. Secondo me è una visione molto italiana quella secondo cui la vera musica è fatta solo in un modo. Ognuno ci mette la sua cifra. A partire dal cantautorato, che è diventato un po’ la nostra nuova scena indie, dal punto di vista del look è il più hipster di tutti. Ognuno sta lì a studiare anche le poche cose che mette addosso, lo fa con cura. Il mondo della musica è giusto che viva anche di queste cose.

Le canzoni di oggi possono ambire a rimanere nel tempo o rischiano di scomparire in fretta?
Rischiano di sparire in fretta ma non è un discorso di qualità, non è che le canzoni prima fossero più belle. Un tempo c’era un sistema industria per cui un brano lo dovevi portare dietro per 6-8 mesi. Oggi i cantanti stessi, per rimanere sulle piattaforme, devono ridurre il gap tra un singolo e un altro. Questo fa rischiare che canzoni molto valide vengano masticate più velocemente di quello che avrebbero meritato.

Più difficile avere successo oggi o un tempo?
Molto più facile oggi, però è più difficile durare. Abbiamo exploit di giovani artisti che viviamo come fenomeni e che poi, dopo due anni, fatichiamo a ricordare.

Un suo consiglio ai 24 partecipanti…
Non ne ho mai dati, nemmeno quando ero a “X Factor”.  Prima di tutto perché non so se lo vogliano (sorride), poi il consiglio di un quarantaquattrenne… mi ricordo a vent’anni, non so se avrei avuto voglia di sentire un quarantenne che provava a spiegarmi cosa avrei dovuto fare.

Una pacca sulla spalla sì…
Se vedo che ne hanno bisogno sì, altrimenti anche un pugnetto.

A febbraio sarà alla guida del "DopoFestival", ha già pensato a come sarà il programma?
No. Ogni tanto nel corso della giornata ci butto un pensiero, ma da qui a febbraio ci sono molte cose, a partire da “Sanremo Giovani”. Quando sarà il momento ci penseremo, l’idea è sicuramente quella di fare qualcosa di divertente…

Tra i "DopoFestival" del passato ce n’è uno che ricorda con più simpatia?
Su tutti quelli di “Elio e le Storie Tese” e di Fiore lo scorso anno.

Che cosa rappresenta per lei Sanremo?
Un bel ricordo d’infanzia, lo guardavo con mia mamma e il sabato cercavamo di anticipare tra noi le posizioni della classifica finale. Intorno ai vent’anni l’avevo un po’ perso di vista, poi l’ho recuperato negli ultimi anni quando è tornato ad avere una rilevanza sia di costume che musicale.

La canzone che più la lega al Festival…
“Perdere l’amore” e “La terra dei cachi”. Credo che siano tra le più belle canzoni italiane mai scritte.

La musica e Alessandro Cattelan, cosa vi unisce?
La musica e Alessandro sono due amici che si frequentano da tantissimo tempo. Cambiano, si modificano, si scoprono ancora. La musica è bella perché è lì per farsi ascoltare, e anche io sono lì.

La sua ultima scoperta?
Non avevo mai seguito particolarmente i R.E.M., poi quando Michael Stipe è stato mio ospite ho ricominciato ad ascoltarli, ho scoperto tante cose fighissime, album con pezzi stupendi… Il bello della musica è che è lì (sorride).