Parla Frate Rufino:
h, quando Cesco si mette in mente una cosa, nulla e nessuno può distoglierlo.
E così è andata quel giorno, il giorno in cui ha deciso che avrebbe fatto i conti con l'inferno!
Ma veniamo ai fatti: è un giorno freddo, molto freddo, quando vengono a chiamarlo da Gubbio.
Viene l'oste della Tavernaccia e il di lui figlio, Pietrino, e la di lui moglie, Angelina. Cesco l'invita a parlare chiaro e si stupisce, e si domanda cosa può averli convinti ad affrontare il viaggio attraverso la tormenta.
L'oste è cupo in volto e risponde che gli è stata la signora delle necessità.
Cesco si stupisce un bel po'.
Acciderba, proprio l'oste che allude alla grande fame? Si domanda.
Ma l'oste scuote la testa e allora Cesco proprio non capisce di quale signora l'oste stia parlando. Per ciò detto, indaga e scopre, in breve, che la signora che mette paura all'oste è la paura medesima. E anche moglie e figliolo, il tal Pietrino, annuiscono all'unisono.
Cesco non si raccapezza e chiede lumi. E l'oste fa spallucce e narra che in tutta Gubbio, ormai, la paura regna sovrana. Tutti? Tutti! E se la domanda, per caso, voleva includere anche l'autorità... sì, anche l'autorità. Confermato.
A quest'ultima affermazione, la moglie Angelina tira l'oste per la giacca: come al solito il su' marito si sta esponendo troppo.
Cesco apre le braccia e si lascia misurare in tutta la su' grandezza, che l'è pochina. E, dice, che se c'è qualcosa che potrebbe fare un piccolo umile e povero frate, Cesco lo farà. L'oste propone di pregare, ma la moglie fa notare che un frate lo fa già. Sì, ma potrebbe pregare di più preciso e chiedere al cielo di scacciare il Satanasso, propone l'oste come esempio.
Intanto Cesco s'è incuriosito e chiede conferma alla famigliola se davvero i loro occhi l'han veduto, s'era davvero il diavolo, o giù di lì, che ha fatto sosta in Gubbio. L'oste ammette di non parlare dell'occhi propri ma di quelli del su' cognato, il fratello della su' moglie.
Cesco domanda a quei signori se, a loro avviso, fosse tutto regolare: il Satanasso, si sa, è ben riconoscibile. Il resoconto del cognato era preciso, preciso?
Più o meno, gli risponde l'oste, ma poi si domanda se la cosa abbia tanta importanza. Cesco, tuttavia, fa notare di sì. Insomma, se si parla del diavolo, di un mezzo diavolo o di un povero diavolo, la differenza si fa cospicua!
Ma la moglie dell'oste, forse sentendo il peso della responsabilità di cotanta visione, spiega che il su fratello non è mica stato l'unico. Eh, in tanti l'han visto quel Satanasso!
Cesco allora domanda cosa dicono questi tanti.
Sicché l'oste si mette d'impegno nel concepire una demoniaca descrizione del male assoluto.
Dice che il Lucifero di Gubbio ha gli occhi rossi e l'affanno e che le su' fughe son tracciate dal sangue. Lo descrive più alto di un palo alto e lo soppesa quanto cinque sacchi di letame. Giura che gira armato di un forcone e che lui e la su' forca puzzano d'inferno. E po' vomita le bestemmie che urla alla Luna, tant'è che la Luna si copre co' le nubi. Mentre le cose che sputa contro l'homini sembrano ringhi e mugugni.
Po' fa anche vedere la lingua a li frati quando li incontra e grugnisce alla vista della croce. Fatto, conclude l'oste, che a un frate dovrebbe bastare e anche avanzare! La moglie, quasi risentita, approva.
Cesco, in verità, l'è molto dubbioso e sospetta che tutte le cose l'oste l'abbia solo sentite dire.
Sembrano chiacchiere da villaggio, fa notare.
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