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Berlino XX secolo: la guerra degli stili

in onda domenica 11 novembre 2012 alle 13.25

Berlino, la ritrovata capitale della Germania, è la protagonista  di questo appuntamento con Passepartout, il programma d’arte e cultura di Philippe Daverio.

Il diario berlinese di Daverio, girando in lungo e in largo i luoghi più significativi della capitale tedesca (il Museo di Pergamo, l’Ambasciata Italiana, il quartiere dell’IBA), attraversa le vicende artistiche, storiche e culturali della città nel corso del XX secolo. Un secolo di guerre, distruzioni, divisioni, ricostruzioni. Un secolo contrassegnato anche dall’intrecciarsi di stili diversi, manifesti estetici di tutti quei regimi e ideologie che la città ha drammaticamente conosciuto nell’arco del XX secolo.

Si comincia visitando la Neue Nationalgalerie, che ha ospitato nel corso dell’estate una grande mostra dedicata all’arte nel periodo della DDR. Si introduce così il racconto di una città dove nazismo e comunismo sono spettri ancora vaganti, presenze occulte della sua coscienza collettiva.

Il mondo intero ha guardato alla ricostruzione postunitaria di Postdamer Platz, il territorio di Berlino che rimase per anni documento straziante della distruzione della guerra. Questo progetto urbanistico di Postdamer Platz porta la firma del noto architetto italiano Renzo Piano. Un centro polifunzionale, che sembrerebbe America ma nella realtà è pieno di morbidezze germaniche, con una architettura pensata ovviamente per il grande freddo invernale. Un passato in bianco e nero che vuole diventare a colori: proprio come nella metafora degli angeli che scelgono la vita terrena del Cielo sopra Berlino di Wim Wenders. Un emblema di una città alla ricerca di una nuova identità, affascinata e spaventata del proprio passato, eccitata e preoccupata al contempo dal futuro.

Berlino, quindi, e le sue due distruzioni, quella nazista e bellica prima e quella del comunismo e del muro poi. Ma se la città nazista dell’architetto Speer sembra quasi del tutto sparita sotto i bombardamenti, più evidente è invece la firma di un grande architetto, Schinkel, che fu il vero artefice dell’estetica berlinese. Ben riconoscibili sono anche le tracce del regime comunista, di un rigore decisamente in linea con la tradizione prussiana con qualche contaminazione arrivata direttamente da Mosca.

C’è poi l’alternativa a questo rigore: le leggerezze composite dello Jugendstil, i ricordi del razionalismo sperimentale della Bauhaus, le combinazioni postmoderne. E una serie di architetture estreme dove prevale un mondo di linee trasversali in un trionfo dell’antisimmetria. Come in un luogo emblematico del paesaggio non solo visivo ma anche culturale di Berlino: il Museo Ebraico. Qui, sulla struttura originale ottocentesca, si innestano le linee oblique volute dall’architetto Daniel Liebeskint. Un modo di sottolineare la tensione che accompagna i percorsi interni del museo, dove si testimonia il dramma della comunità ebraica berlinese.

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