II mito di Enea, Romolo e Remo

 

Alla fine del I secolo a.C., sotto il regno di Augusto, due grandi scrittori latini invocano nei loro componimenti le origini di Roma.
Tito Livio con Ab Urbe Condita (Della fondazione della città) dedica diversi libri alla fondazione di Roma ad opera di Romolo. Mentre Virgilio compone il suo poema, l'Eneide, che racconta le avventure dell'eroe troiano Enea, venuto in Italia dopo la guerra di Troia. Le due opere, scritte molti secoli dopo le vicende a cui alludono, mescolano elementi peculiari dei Romani, dei Latini nonché elementi derivanti dai Greci.
Le leggende raccontano Roma, fondata da Romolo nel 753, come realtà coloniale di Alba Longa.
Le leggende ispirate ai Greci fanno invece discendere i Romani dai Troiani, portati in Italia da Enea dopo la caduta di Troia datata 1193 o 1184 a.C.
Enea avrebbe fondato Lavinio, sulle coste laziali, e suo figlio Ascanio Alba Longa il cui nome deriva da un sogno di Ascanio. Racconta la leggenda che egli sogna una simbolica scrofa bianca e per questo dà alla città, al momento della sua fondazione il nome di Alba che in latino significa bianco, mentre longa si riferirà, in seguito, alla forma allungata con cui si sviluppa urbanisticamente l'abitato.
Ancora oggi il simbolo di Albano è una scrofa bianca.
Entrambe le leggende sulla fondazione di Roma sono infine associate a Romolo che, in effetti, è discendente di un re di Alba.
Ai tempi di Augusto la leggenda di Enea è molto attuale poiché come figlio adottivo di Giulio Cesare, Augusto appartiene alla famiglia patrizia dei Giulii che pretendono di discendere da un tal Giulio figlio di Enea e nipote di Venere. Augusto fonda la sua propaganda su questa strabiliante origine. La leggenda di Enea è comunque introdotta a Roma fin dal IV secolo, quando cioè Roma entra in contatto con le città greche dell'Italia meridionale. Per i Romani, il collegamento con una leggenda greca diviene un mezzo per affermare una parentela tra le due civiltà. Dal punto di vista greco, tale comunanza costituisce un mezzo per accettare più facilmente la sottomissione.

Secondo il mito, Enea appartiene alla famiglia reale di Troia. Figlio di Venere e di Anchise, nipote di Giove. Quando Troia è invasa dagli Achei, per ordine di Venere Enea lascia la città e porta in Italia suo figlio Ascanio (Giulio nel racconto di Virgilio) con l'anziano padre Anchise. Nel suo viaggio per mare, Enea imbarca anche le statue dei Penati e di Pallade Atena, simboli di protezione per i Troiani per la custodia del viaggio e il successo della conquista troiana nel mondo. I Romani inizialmente integrano questi culti troiani nel tempio di Vesta, divinità protettrice del focolare.
Prima di arrivare in Italia, Enea trascorre molti anni per mare. Sbarca in Africa dove viene accolto da Didone, regina di Cartagine. Ne nasce una storia d'amore ma infine Enea, per ordine di Giove, dovrà partire. Didone si uccide per amore e Giunone, protettrice di Cartagine, si schiera contro l'eroe troiano.
Ripreso il viaggio, Enea arriva in Sicilia, poi a Cuma - città greca - dove incontra la Sibilla.
Grazie ai poteri di costei, Enea discende nel mondo dei morti per incontrare suo padre Anchise, morto nel frattempo. Il padre mostra al figlio il futuro: le anime degli illustri che faranno la grandezza di Roma, città destinata a conquistare il mondo.
Enea riparte per arrivare finalmente sulle coste del Lazio dove incontra Latino, re dei Latini. Sposa sua figlia Lavinia. Questo matrimonio viene osteggiato dal re Turno, re dei Rutuli, pretendente di Lavinia. Se ne scatena un conflitto che vede il dio Tevere dalla parte di Enea.
Scrive Virgilio:

"Ed ecco Tiberino, il dio del loco veder gli parve, un che già vecchio al volto sembrava. Avea di pioppe ombra d'intorno di sottil velo e trasparente in dosso ceruleo ammanto, e i crini e 'l fronte avvolto d'ombrosa canna. E de l'ameno fiume placido uscendo a consolar lo prese in cotal guisa: "Enea, stirpe divina, che Troia da' nemici ne riporti e la ravvivi e la conservi eterna; o da me, da' Laurenti e da' Latini già tanto tempo a tanta speme atteso, questa è la casa tua, questo è securamente, non t'arrestare, il fatal seggio che t'è promesso. Le minacce e 'l grido non temer de la guerra. Ogn'odio, ogn'ira cessa già de' celesti. E perché 'l sonno credenza non ti scemi, ecco a la riva sei già del fiume, u' sotto a l'elce accolta sta la candida troia (scrofa) con quei trenta candidi figli a le sue poppe intorno. Questo fia dunque il segno e 'l tempo e 'l loco da fermar la tua sede. E questo è 'l fine de' tuoi travagli: onde il tuo figlio Ascanio dopo trent'anni il memorabil regno fonderà d'Alba, che cosí nomata fia dal candore e dal felice incontro di questa fera. E tutto adempirassi ch'io ti predíco, e t'è predetto avanti".

[Virgilio, Eneide, VIII, 37-52]


Enea comprende. Il suolo laurentino è quello di Lavinio e i piccoli trenta maialini sono i popoli latini da unificare. Enea sfida e uccide Turno, sotto gli auspici della dea Venere e del dio Vulcano che gli fabbrica una magnifica armatura. Alla fine della guerra, Enea fonda la sua città, Lavinio, che prende il nome della sua sposa.
Ascanio-Giulio fonda invece Alba che diviene la capitale dei trenta popoli latini. Ad Ascanio succedono tredici re. Amulio s'impossessa del potere scacciando suo fratello Numitore, ultimo re. Uccide i figli di suo fratello e impone a sua nipote Rea Silvia di diventare sacerdotessa di Vesta, affinché rimanga vergine, senza figli.
Ma Rea Silvia, sedotta dal dio Marte, mette al mondo due gemelli, Romolo e Remo, eredi legittimi al trono. Ecco dunque come le leggende di Enea e di Romolo sono legate fra di loro.

I gemelli sono miracolosamente salvati da una morte certa per annegamento nel fiume.
Lo racconta Tito Livio:.

"Amulio diede ordine d'imprigionare la sacerdotessa Rea Silvia e di gettare i suoi bambini nella corrente del fiume.
Per un caso provvidenziale, il Tevere era in piena e si perdeva in rivoli di acque stagnanti; il letto regolare del fiume era inaccessibile e gli incaricati di Amulio ritennero che le acque stagnanti fossero sufficienti ad annegare i neonati.
Essi dunque pensarono di eseguire l'ordine del re deponendo i bimbi nella prima distesa d'acqua, nel luogo dove oggi cresce il fico sacro a Rumina, divinità dei neonati, da cui - si dice - viene il nome di Romolo.
Allora il luogo era deserto e disabitato.
Secondo la leggenda, la culla si sollevò sull'acqua e galleggiò sulle acque e si fermò in un punto in cui le acque si erano ritirate.
Venne una lupa che scese al fiume perché aveva sete.
La lupa, attratta dalle grida dei bambini, si accucciò e porse loro le sue mammelle piene di latte.
Così li trovò il pastore Faustolo il quale raccolse la culla e la portò alle cure di sua moglie Acca Larentia.
Secondo alcune fonti la moglie del pastore era una prostituta, soprannominata "lupa" dai pastori e questa sarebbe l'origine delle leggenda miracolosa".


[Tito Livio, Storia di Roma, I, 4,
3-8]


Romolo e Remo sono allevati dai pastori. Ma un giorno viene loro rivelata l'origine regale. I gemelli preparano la vendetta ed eliminano Amulio, ristabilendo sul trono di Alba il nonno Numitore.
Difficile per i gemelli inserirsi nel gioco dinastico di Alba. Sicché decidono di fondare una nuova città... Roma.

 

 

 

 

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