Guado svelato




[Racconto di Giovanna Gra]


ascolta l'audiodescrizione[ascolta l'audiodescrizione]
durata 21 minuti - Credits



Giunti ai piedi della montagna il giovane celta incominciava ad avere fretta, voleva arrivare al punto.
Liberarsi dell'intruso e compiere la sua missione.

"Bene", disse, "appena mi consegnerai la spada potrai tornartene laggiù da dove sei venuto", disse con un piglio velatamente polemico.
"A dir la verità non so se ho voglia di darti la spada.
E non so se ho voglia di tornare da dove sono venuto."
"Non capisco...", rispose Art indurendosi.
"Seppellendo questa spada tu vuoi seppellire Roma, l'impero e i suoi fasti."

Artorius non rispose, ma con uno scatto improvviso fece scivolare un coltello dalla manica del saio.
"Consegnami quella spada amico, o seppellirò anche te", intimò Art.
L'altro, colpito dalla sua determinazione, non se lo fece ripetere due volte e consegnò l'arma.
Quando Art ebbe fra le mani il pesante ammasso di stracci disse:
"Seppellirò questa spada e con essa Roma.
Seppellirò gli invasori della tua razza che hanno per anni oppresso il mio popolo!"
Ciò detto, prese il pesante fardello e si addentrò nella foresta.
Ma Alienor, dopo un attimo di esitazione, lo rincorse.
"Ah sì?", domandò.
"E si può sapere dove la seppellirai?"
Art proseguiva dritto per la sua strada, deciso e con passo da uomo di montagna.
Alienor faceva fatica a stargli dietro ma non si perse d'animo e, annaspando, annunciò:
"E poi sai che ti dico?
Non puoi impedirmi di seguirti!"
"Se credi, fa pure", rispose Art avanzando a lunghi passi sulla neve fresca.
"Dimentichi che se tu hai un pugnale, io ho una daga e potrei farti molto male."
"Non vedo la tua daga", rispose Artorius placido.
Alienor fece il gesto di estrarre la spada ma Guado, spuntando da un cespuglio, incominciò a ringhiare fissandolo con occhi pieni d'ira.

Alienor ripose la spada.
"Chi... chi è questo mostro?
E... che vuol dire che non vedi la mia spada?!", chiese offeso riponendo cautamente l'arma nel fodero.


Art proseguì a grandi passi verso la cima rispondendo senza voltarsi:
"Non la vedo perché sono cieco.
Ma, come hai potuto constatare, il mio lupo ci vede benissimo."
Alienor scosse la testa sorridendo.
Accidenti come l'aveva imbrogliato quel ragazzo!
Era davvero incredibile pensare che non potesse vedere, considerando l'abilità con cui si muoveva.

Un brivido di freddo lo attraversò dalla nuca al calcagno e si affrettò a rincorrere il giovane celta e il suo lupo, come se la loro compagnia lo facesse sentire al caldo e al sicuro.

Purtroppo, però, tutta quella conversazione era stata seguita da qualcun altro.
Qualcuno molto interessato alla bisaccia del giovane forestiero.
Molte altre impronte segnarono il manto nevoso all'ingresso del bosco.
Tracce che appartenevano al terribile Connor, lanciato nell'avida caccia dell'oro di Roma e convinto più che mai che sotto quel cumulo di stracci, i due giovani si litigassero un tesoro.

Intanto, le schermaglie fra i due ragazzi proseguivano e si consumavano fino alla cima della montagna.

Guado non vedeva per niente di buon occhio l'intruso, mentre Art, in cuor suo sapeva che se avesse lasciato incustodita la mitica spada, Alienor avrebbe fatto di tutto per impossessarsene e scappare.
Ma Alienor, gettandosi all'inseguimento del giovane celta, non aveva minimamente contemplato a cosa sarebbe andato incontro.
La montagna glielo fece presente presto e bene.
Il ragazzo non aveva mai fatto i conti con le avversità della vita nei boschi, né saggiato alcuna seria prova delle vere e implacabili leggi della natura.

Comunque non tornò indietro.
Non si guardò le spalle.

Era attratto da quella sfida e ammirato dalla determinazione del suo nemico.

Così, più salivano, più si sfidavano, più il loro legame diventava un'ibrida pasta composta di odio, di amore e di stima.
Lo scontro divenne fisico, muscolare, intellettuale.
Si ammiravano, si studiavano, si spiavano e forse si attraevano.
La sfida era diventata la loro trama, la loro droga.
La resistenza il loro limite senza esclusione di colpi, interrotta da piccole tregue davanti al fuoco e colpi bassi nelle radure di neve.
L'inesperto cavaliere fra le rigide montagne.
L'esperto aspirante druido con il suo buio perpetuo.

Il gelo mordeva e mordeva duro.
Le punte delle dita incominciavano a colorarsi di blu.
Giocando sempre da inseguitore, Alienor vide le vestigia dell'ultimo accampamento di Art e gli ultimi bagliori delle braci che dardeggiavano al freddo.
Questione di attimi e il fuoco si sarebbe spento.
Il giovane legato colse delle pietre e le gettò sulla brace per farle riscaldare e poi tenerle fra le mani livide.
Ma appena gettate le pietre sul fuoco, Alienor vide apparire fra gli alberi il suo nemico.
"Cosa stai facendo?", chiese Artorius perentorio.
"Cosa t'importa?
Questo fuoco non ha più padroni, lo hai abbandonato quando te ne sei andato e ora io ci cuocio delle pietre per riscaldarmi le mani...", ma non fece in tempo a finire la frase che Guado gli fu addosso.
In quel medesimo istante le pietre esplosero lanciando schegge dappertutto.
"Accidenti Alienor!
Se scaldi delle pietre umide possono esplodere!", urlò Art imbestialito.
"Io... io... non lo sapevo... non capisco...", ribatté questi massaggiandosi la fronte dove una scheggia lo aveva colpito di sguincio.
"Beh, adesso lo sai!
Potevi rimetterci la faccia.
Le pietre umide hanno acqua al loro interno e a contatto con una fonte di calore quest'acqua si trasforma in vapore."
Alienor guardò Artorius con profonda ammirazione.
"Accidenti, sai un sacco di cose.
È... è difficile vivere come vivi tu."
"Non è difficile.
È la mia vita!", osservò Artorius brusco.
Poi si mise a tastare delle pietre in cerca di qualcosa.
Intagliò del muschio e lo porse al ragazzo:
"Tieni, il muschio aiuta a non perdere il sangue se hai delle ferite."


Forse per il freddo, forse per il pericolo appena scampato, i due ragazzi decisero di fare una tregua, anche perché il cielo era cupo e non prometteva nulla di buono.

In quella breve sosta, Alienor capì che, senza una vera esperienza, non avrebbe mai potuto sopravvivere in quei posti e che la sua buona sorte si stava lentamente assottigliando.
Vide Artorius filtrare l'acqua con la ghiaia e il carbone, decidere dove accamparsi prendendo le distanze da un fiume, una grotta, una gola.
Lo vide scegliere le foglie più grandi e trasformarle in ciotole per il cibo e per l'acqua.
Infine, lo vide costruirsi un'amaca di scotte e di stracci per scongiurare l'ipotermia che certamente li avrebbe colti dormendo adagiati al suolo.
Lui sì che sapeva sopravvivere in quei luoghi!

La sera, davanti al fuoco, Alienor cercò di saperne di più di quel ragazzo non vedente che dominava ad arte la natura più selvaggia.
"E' bello quel monile che hai al collo.
Cos'è?"
"Un Triskell", rispose laconico Art.
"E' un oggetto magico?", insistette Alienor
"Forse..."
"Maddai, tutto di te dice che le tue capacità provengono dalle arti di un druido!", insistette Alienor.
"Chi è il tuo maestro?", chiese ancora.
"Quando mi fiderò di te, ti dirò il suo nome.
Comunque è bene che tu sappia che egli veglia e vede."
Le parole di Artorius lasciarono Alienor scettico e insoddisfatto.
Ma il buio giunse presto e con esso anche il tempo cattivo, sicché decisero di andare a dormire.

Qualche ora più tardi il cielo incominciò a lampeggiare minaccioso e Alienor si svegliò di soprassalto.
Artorius dormiva placidamente sulla sua amaca.
Anche Guado dormiva, accoccolato fra le rocce poco distante.

Alienor si guardò intorno, gli parevano trascorsi anni da quando era sbarcato e invece aveva solo provato tante emozioni.
L'incontro con quel ragazzo magico, il lupo, l'incanto della montagna, il prestigioso Triskell...
Già, il Triskell, verso il quale Alienor provava un'attrazione incontrollata.
Così, con un gesto quasi indipendente dalla sua volontà, il giovane legato si avvicinò al compagno che dormiva e gli sottrasse il ciondolo.
"Ah!
Come fa a dire che il suo maestro vede e veglia?
Non dovrebbe reagire a questo mio furto?", mormorò fra sé il ragazzo.

Quel furto, brutto gesto, in capo a qualche istante diede la stura alle energie negative che circumnavigavano il loro accampamento.
Nel buio qualcosa si mosse e un grosso temporale si annunciò scagliando tuoni e fulmini senza tregua.
Poi, nel buio si palesò la figura di un ladro, pronto ad aggredire nella speranza di rimediare qualche moneta.
Guado incominciò a latrare furiosamente.
Il fuoco ebbe un'impennata di fiamma.
Artorius si svegliò di soprassalto.
Alienor aveva appena fatto in tempo a legare il Triskell al polso che, con la stessa mano, estraeva la spada per difendersi dal farabutto.
Un fulmine cadde.
Un albero prese fuoco.
Connor combatteva con l'istinto di un rapace.
Rami infuocati caddero sul piccolo accampamento, il fumo non consentiva di vedere oltre un palmo.


Un altro fulmine, attratto dalle energie in movimento, cadde per colpire.
Si udì Guado gemere e Alienor urlare, poi un corpo stramazzare al suolo.
E ancora più nulla, fino al chetarsi del tutto.
E fu silenzio.

Alienor si svegliò all'alba del giorno dopo sotto una coltre di neve e un principio di congelamento.
Vicino a lui, il corpo esangue di Connor non mostrava segni di vita.
Sul suo polso, invece, il Triskell era sparito, come Artorius e il suo lupo, lasciandogli incisa la sagoma del simbolo sulla pelle tesa e arrossata del braccio.
Era stato il fulmine?
Il freddo?
Forse.
La saggezza popolare mette in guardia il viandante dai druidi e dalle loro alleanze con la natura, perché la natura, loro amica, interviene prima o poi...

E ora, stampigliata sul polso nudo del cavaliere, l'impronta dell'ornamento appariva uno sberleffo sanguinolento, in bassorilievo, che lo avrebbe segnato per sempre.
Ma del vero Triskell, nessuna traccia.

Alienor raccolse stancamente le sue cose.
Aveva compiuto un atto imperdonabile rubando quel monile, lo sapeva.
Non avrebbe mai più visto Artorius e il suo lupo.
Non avrebbe salvato Roma, né la spada di Cesare.
Aveva perduto.
Vide con l'immaginazione ciò che, probabilmente, si era già compiuto.
Artorius piantare la spada nella roccia per sempre, sigillare fra le pietre Roma e i suoi fasti per consentire al mondo nuovo la sua rivoluzione.
Un nuovo re con in pugno una nuova spada si apprestava a fare il suo ingresso in quelle terre.

Il destino si era compiuto e, probabilmente, Artorius era già diretto altrove.
Si, era ora di muoversi, e anche Alienor puntò all'altrove per curarsi le ferite e il dolore della sconfitta.

ALTROVE...

Da giorni e giorni, attraversando valli spolverate di neve, la stanchezza incominciava a farsi sentire per il giovane celta e il suo compagno lupo.
Art non era di buon umore e Guado lo sapeva.
Aveva cambiato espressione da quando avevano lasciato il giovane legato sulla montagna, oramai morto, probabilmente, da diverse giorni.

Finalmente, dopo tanto camminare, videro in lontananza un castello e, fidenti, puntarono alla sua ospitalità.
In loco li accolse una donna grassa e simpatica, una specie di ciambellana del castello.
Disse che la sua signora era indisposta ma che li avrebbe ospitati di buon grado poiché, dalla cima della torre del castello, li avevano avvistati da un bel po' di tempo.

I due non se lo fecero ripetere due volte e accettarono l'invito.

Una volta al castello, pasteggiarono con ogni ben di Dio alla tavola della misteriosa signora, bevendo un ottimo vino, gustando formaggi stagionati e polposa selvaggina.

Art poté lavarsi, cambiarsi d'abito e un velo di tristezza si levò dalla sua aria cupa.
Ma era e rimase di pessimo umore.

Sul letto, nella sua stanza, trovò abiti identici ai suoi e questo lo stupì moltissimo.
Chi poteva sapere del suo arrivo in quel luogo?
Certo, la stoffa era migliore e le cuciture più resistenti, ma pareva proprio che qualcuno avesse conosciuto in anticipo i suoi movimenti.

Guado dormiva placidamente davanti al camino della grande stanza.
Arrotolato e sereno, si riposava davanti al fuoco.
Quando Artorius manifestò il suo stupore ad alta voce, il lupo grugnì infastidito.
"Bel carattere che hai, e bel complice che sei!", lo rimproverò il ragazzo.

Passarono i giorni, e proprio mentre Art stava pensando che fosse ora di ripartire, la grossa ciambellana gli annunciò che la misteriosa signora del castello avrebbe avuto piacere di cenare con lui.

All'ora di cena Art fu introdotto in una splendida sala decorata con piante straordinarie, splendidi arazzi e illuminata a giorno da mille candele.
Un fuoco allegro crepitava nell'immenso camino di marmo.
Artorius non vedeva tutto ciò ma ne percepiva i fasti e il calore.
E, soprattutto, si accorse che lei era già lì, silenziosa e ferma.
Aspettava.
Art restò immobile e ansioso.
Perché non lo salutava?
Sapeva che la signora era nella stanza perché percepiva un magnifico profumo e le sue narici gli dicevano che quell'odore apparteneva a una donna.
Una donna complessa e raffinata come non ne aveva conosciute prima.
Quindi, azzardò un passo.
Lei si girò e lo vide.
"Scusate, ero assorta a guardare il camino", disse, e poi aggiunse, "siete voi!"
Pareva sconvolta ed emozionata.
Aveva una voce molto giovane, acerba, dagli accenti talvolta sfrontati, talvolta esitanti che gli ricordava qualcosa.
O, meglio, qualcuno.

Le mani si sfiorarono e i respiri si fecero veloci.

E' incredibile quello che avviene quando l'amore si posa.
Tutto quello che sembrava non funzionare ora funziona.
Tutto quello che appare impossibile sembra credibile e immediatamente presente.
Tutto quello che abbiamo cercato è li, davanti a noi, ma più bello, più insolito e attraente di ciò che avremmo mai immaginato.

Il viso di Artorius era più intenso ora, disegnato dallo stupore, dalla timidezza e dall'ardore.
I sospiri di lei si facevano vento e palpito nella stanza divenuta ancora più straordinariamente accogliente.

Non ha bisogno di parole, l'amore, quando si compie.
O forse ha bisogno di gesti, di ascolto e di pochi respiri.
Non ha bisogno di dichiararsi perché avviene e nessuno, nessuno, può impedirgli di compiere il suo giro, di cavalcare le resistenze, circondare le timidezze, sgominare gli ostacoli.

Questo è più o meno quel che avvenne nella grande stanza del castello di pietra della misteriosa signora.

"Io... io devo dare un nome a quello che provo", disse Artorius emozionato, "e dunque ditemi, vi prego... come vi chiamate?"
"Eleonora", rispose lei in un palpito.
Le labbra si unirono e produssero baci che caddero silenziosi sulle ore della notte.
Le mani corsero dalla pelle al cuore tratteggiando le coordinate dei molti desideri.

E tutto si compì, come fosse l'unica cosa da fare.
Artorius giacque insieme alla sua ospite davanti al camino fra le mille candele, gli arazzi profumati e le luci oblique e sottili.
La notte fu complice e guardiana.
La notte fu travolgente e colma di promesse.

Ma se c'è un'ora per sentire le affettuose risate degli amanti, quella è l'alba.
E' l'alba che colora di violetto i contorni e rimanda alla notte l'eternità.
E' l'alba che fa battere il cuore e mette il mondo in pugno, ora che si è scovata la chiave.
Dalle tasche degli abiti abbandonati fanno capolino i segreti che esigono confessioni per tessere un'alcova nell'intimità.
Sì, è l'alba.
E all'alba gli amanti si confessano, condividono le confidenze che li renderanno per sempre complici.

E fu all'ennesima risata che Artorius impugnò per scherzo i gomiti della giovane donna che gli aveva spogliato il cuore.
Colse un'impercettibile ferita.
Lei si ritrasse.
"Un momento, fammi sentire!", disse lui allarmato.
Le sue dita la frugarono, avide e ansiose, e un istante dopo Art non ebbe dubbi:
quella cicatrice era la sagoma del Triskell.
"Dunque sei tu?
Sei tu che ancora m'inganni?
Ma chi sei...tu?!", chiese Art ferito, "Sei lui o sei lei travestita da lui?"
"Ti prego, non è come pensi, non volevo imbrogliarti!", rispose Eleonora angosciata.

In quell'istante fece ingresso nella grande sala il maestoso Guado.
Avanzava circondato da una luce azzurrina che a ogni passo diveniva sempre più intensa.
"Non devi sentirti ferito, Art...", osservò il lupo lasciando di stucco la ragazza.
"Alienor ha fatto quello che era scritto per lei."
Alienor si schermò gli occhi perché la luce di Guado adesso l'accecava.

E quando li riaprì, vide attorno a sé molte cose.

Al posto del lupo grigio c'era il druido Merlino che domava con fatica la potente energia generata da quel cambiamento.
Art, trepidante e sfinito, le sussurrava:
"Sei bellissima Alienor!"
Alienor, stupita e felice domandò:
"Tu... tu... ci vedi?"
Si, Artorius la vedeva!
Quale strana magia stava modificando, dunque, i loro destini?

"Art, ti presento Alienor D'Aquitania", disse Merlino.
"Alienor, ti presento Artù, futuro re di Britannia."

E lei, con l'impeto che le era tipico, si rivolse a Merlino:
"Sei tu che conosci la storia, raccontacela dunque!
Ora, più che mai, ho bisogno di conoscere le nostre sorti."

Merlino, aggiustandosi le pieghe dell'ampio mantello, parlò:
"Non c'è niente che tu debba sapere più di quello che hai visto.
Dovevi consegnare la daga di Cesare per consentire a Excalibur di vedere la luce!
Art doveva vincere le proprie debolezze per potere, un giorno, diventare re.
Nella vita si può essere acciecati da molte cose.
Dalla luce, dall'odio, da un grande dolore, e solo se si è disponibili a riprovare l'affetto che lo ha prodotto, è possibile riprendere il controllo di noi stessi.
Chi fa ciò, possiede il coraggio di un re.
Oggi noi siamo al cospetto di un grande re, anzi, del più grande!"
"Ma io...", disse lei adombrandosi.
"A te", la interruppe Merlino, "è stato affidato, dal mondo soprannaturale e fatato, il compito di affinare la tempra del futuro sovrano di Britannia.
E oggi, qui, nella notte dei secoli, ciò che è scritto si è compiuto."
"Mi dimenticherà...", mormorò in un soffio Alienor.
"Non potrò mai dimenticarti", rispose con impeto Artù.

Lui non la dimenticò.
Lei non lo dimenticò.

E mentre la leggenda del sovrano di Camelot si compiva, una fascinosa Eleonora D'Aquitania faceva parlare di se nel corso del tempo.
Detta la Plantageneta prima, e soprannominata poi Alienor - che significava l'aliena, l'estranea - fu una donna eccezionale.
Eleonora, in effetti, sembrava venire da un'altra epoca per la sua cultura fuori dal comune e le sue doti di guerriera e di amazzone.
Si fece promotrice delle arti, della poesia e tanto si spese nell'incoraggiare le stesure in volgare delle rinomate leggende arturiane.
Raccontando così e per sempre al suo popolo, e perfino a noi, la storia di un re giovane e bello in corsa verso il suo castello azzurro fatto di pietra, realtà e magia.
Un re che ella aveva tanto amato.

 

 

 

 

 Torna al Menù racconto  Torna al sommario