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Capo Verde
STORIA
Nell’antichità, un arcipelago perso nell’Oceano Atlantico al largo delle coste africane non aveva consistenza reale, era luogo del mito. Le attuali isole di Capo Verde infatti (così come Madera o le Canarie) secondo varie ipotesi corrisponderebbero alle leggendarie Gorgadi o addirittura ai resti di Atlantide; l’unica cosa certa è che per i classici greci e romani e per autori e cartografi ellenistici e medievali erano dimora di divinità, mostri e strane creature.
È molto probabile che navigatori di varia provenienza (cartaginesi o arabi ad esempio) abbiano, sia pure occasionalmente, toccato le isole di Capo Verde (Cabo Verde) in tempi remoti, ma quando gli esploratori portoghesi le “riscoprirono”, le dichiararono e considerarono disabitate. In ogni caso, una eventuale, esigua popolazione sarebbe stata troppo debole per reagire di fronte alla penetrazione di una potenza che stava diventando impero coloniale.
Difficile dare una datazione e una paternità precisa all’arrivo dei portoghesi. È quasi certo che il primo ad approdare su qualcuna di queste isole sia stato Alvise Cadamosto, un navigatore e mercante di schiavi veneziano, che esplorava l’Atlantico e le coste africane su mandato del Principe del Portogallo Enrico di Aviz, detto “Enrico il Navigatore”. Proprio l’attivismo del principe e dei regnanti portoghesi nelle guerre contro i Mori, nelle attività corsare e nell’espansionismo marittimo e coloniale spinse subito nell’arcipelago diversi altri esploratori, ma nel 1462 re Alfonso V attribuì ufficialmente la scoperta ad Antonio da Noli, nominato governatore con l’incarico di colonizzarle. Nello stesso anno, sull’isola di Santiago veniva fondata Ribeira Grande, oggi diventata Cidade Velha.
Era l’inizio del Vicereino das Ilhas do Cabo Verde, un viceregno di cui facevano parte anche altre isole atlantiche e territori costieri africani.
Nel 1498, durante uno dei suoi viaggi transoceanici, Cristoforo Colombo approdò nell’isola capoverdiana di Boa Vista e annotò nel diario di bordo: “Hanno un nome ingannatore perché sono alquanto aride e io non vidi in esse alcunché di verde”. A quanto pare, vide solo capre selvatiche, grandi tartarughe e lebbrosi.
Non tutte le isole e i territori dell’arcipelago offrivano lo stesso panorama desolato, ma è certo che la sua importanza crebbe di molto quando, di lì a poco, divenne uno scalo perfetto tra Europa e America e una base fondamentale, quasi un ponte naturale, per il commercio, tanto florido quanto sciagurato, degli schiavi dall’Africa verso il Nuovo Mondo.
Si scoprì però presto che la vita non era facile su queste isole, spesso colpite dalla siccità e dalla scarsità di raccolti e cibo. La carestia del 1747, la prima di cui si abbia testimonianza storica, fu del tutto ignorata dal governo portoghese, che non sostenne questi territori con alcun aiuto.
Un pesante impatto sull’economia locale si ebbe con il declino e poi con la fine della tratta degli schiavi (1878). Ancora per tutto il XIX secolo, l’arcipelago rimase importante per i rifornimenti e il carico di carbone di baleniere e transatlantici, ma erano attività insufficienti per la popolazione. Fu proprio dall’inizio dell’800, infatti, che si verificò la prima importante emigrazione di capoverdiani.
Partivano dall’isola di Brava (Ilha Brava) reclutati dalle navi di passaggio, e approdavano sulle coste nord-atlantiche degli Stati Uniti. Una vera e propria comunità di capoverdiani si stanziò nel Massachussetts per lavorare nelle attività nautiche e baleniere, nelle industrie tessili, negli acquitrini dove si coltivava il mirtillo rosso (cranberry), o nelle carrette del mare che trasportavano i propri conterranei. Nello stesso periodo, le autorità portoghesi costrinsero i capoverdiani ad andare in altre colonie africane per lavorare nelle piantagioni con contratti vincolati.
A Capo Verde, solo nel ‘900 iniziò a prendere forma, in ambito culturale, una sorta di “sentimento nazionale”. Ne fu cuore e motore la rivista letteraria “Claridade”, fondata nel 1936 da 5 giovani intellettuali. Si rivolgeva al mondo dell’arcipelago, ma ne era al tempo stesso espressione e portavoce: una realtà culturale, ma anche sociale, politica ed esistenziale, che intendeva prestare “bocca e orecchie al proprio popolo”. Un popolo che doveva trovare il coraggio di riconoscersi “africano” e non si doveva vergognare della propria “fame”, celata e tenuta ai margini da governo e istituzioni portoghesi. Il gruppo di “Claridade” portava al centro la collettività, per affermare una sorta di “anima capoverdiana”, in cui le origini multirazziali e le diversità culturali e sociali si fondevano nella dimensione creola e nelle specificità dell’arcipelago.
L’impero portoghese è stato il primo e il più longevo impero coloniale della storia. Quando, nel secondo dopoguerra, i movimenti indipendentisti africani coinvolsero i suoi possedimenti d’oltremare, il regime autoritario di Salazar negò qualunque concessione, ma il lungo conflitto contro la guerriglia, dal 1961 al 1974, contribuì al logoramento e alla fine della dittatura.
Il nuovo governo democratico del Portogallo riconobbe le rivendicazioni di gran parte delle colonie. Anche Capo Verde nel 1975 (5 luglio) divenne uno stato indipendente e fu ammesso come membro dell’ONU.
Dal 1975 al 1991, l’arcipelago è stato retto da un governo di stampo socialista. Il Partito Africano per l'Indipendenza della Guinea e di Capo Verde (PAIGC) rimase al potere e mantenne i due paesi federati fino al 1980, quando un colpo di stato in Guinea spinse la parte capoverdiana alla separazione, divenendo Partido Africano para a Independência de Cabo Verde (PAICV).
Gli anni di forte collaborazione con Cina, Cuba e Unione Sovietica tramontarono insieme alla crisi del blocco comunista in Europa. La perdita di quell’importante supporto favorì presto le contestazioni interne ed internazionali al regime monopartitico. Nel 1990, l’Assembleia Nacional Popular procedette alla revisione della Costituzione e soprattutto all’eliminazione dell’articolo 4, che definiva il PAICV “forza dominante della Repubblica di Capo Verde”.
Nel gennaio del 1991, le prime elezioni videro il PAICV vinto dal nuovo Movimento para a Democracia (MpD), che in dieci anni trasformò drasticamente l’assetto economico-istituzionale del paese con una politica liberale e liberista di grandi privatizzazioni.
Per la verità, senza grande vantaggio per l’economia e il benessere sociale, afflitti da crisi endemica e alto tasso di disoccupazione.
Dal 1995 e il 1997, Capo Verde fu colpita da una grave epidemia di colera e una siccità che distrusse più dell’80% dei raccolti. E nel 2002, per la penuria alimentare, il governo dovette chiedere l’aiuto del World Food Programme dell’ONU. Solo nel 2007 l’arcipelago uscì dalla lista delle Nazioni Unite dei 50 Paesi Meno Sviluppati (LDC).
Capo Verde resta comunque una delle democrazie più stabili del continente africano: le elezioni politiche vengono svolte con regolarità, democraticamente e senza problemi. In questi anni, il PAICV e il MpD si sono alternati al governo. Alle elezioni del 20 marzo 2016, ha vinto il MpD, a cui appartengono il Presidente della Repubblica, eletto a suffragio diretto, e il Primo Ministro. La politica di questo partito ha tra i suoi obiettivi incoraggiare l’investimento di capitali stranieri, soprattutto nel settore turistico-alberghiero.
TERRITORIO, CLIMA, AMBIENTE
Con le Azzorre, Madera, le Canarie e le Selvagge, Capo Verde fa parte della cosiddetta Macaronesia. Prende il nome da Cap-Vert: Cap-Vert è il punto più occidentale dell’Africa, la propaggine estrema del Senegal nell’Atlantico, protesa verso l’arcipelago, che si sparge nell’oceano ad una distanza che va dai 500 agli 800 chilometri.
Sono 10 isole di origine vulcanica, scoscese, aspre, rocciose. Culminano nel Pico do Fogo, alto 2829 metri sul livello del mare, l’unico vulcano attivo di Capo Verde (l’ultima eruzione risale al 1995).
Con riferimento agli alisei che arrivano dal continente africano, l’arcipelago è suddiviso in due gruppi: a nord, le Ilhas do Barlavento (Santo Antão, São Vicente, Santa Luzia - disabitata -, São Nicolau, Ilha do Sal, Boa Vista) e, a sud, le Ilhas do Sotavento (Maio, Santiago - con la capitale Praia -, Fogo, Brava).
Il clima è tropicale secco, con una media di temperature intorno ai 25°.
La superficie complessiva delle 10 isole è di solo 4.033 km2: meno della provincia di Roma e 73 volte più piccola del territorio italiano.
Naturale dunque che i corsi d’acqua siano solo dei ruscelli (ribeiras) e che riescano a formarsi solo durante la stagione delle piogge (settembre-ottobre). Piogge peraltro molto scarse, soprattutto nelle isole a est, più esposte ai venti caldi del Sahara. L’armattano, un vento polveroso di sabbia finissima, può produrre nuvole oscuranti che riducono drasticamente la visibilità anche per diversi giorni.
Da sempre, per gli abitanti dell’arcipelago le ricorrenti siccità sono un problema cruciale. Se nelle stagioni normali le poche piogge sono sufficienti per la vegetazione tropicale, le annate sfortunate portano a vere e proprie emergenze, per penuria d’acqua e danni disastrosi all’agricoltura. Recentemente però, l’introduzione di sistemi moderni per l’irrigazione e il recupero idrico (come condensazione, irrigazione a goccia, dissalazione e riciclo) ha migliorato molto la capacità di tenuta nei momenti critici.
La distanza dell’arcipelago da terre continentali ha favorito lo sviluppo di specie endemiche, come il rondone, l’airone e il geco gigante di Capo Verde. Le peculiarità di questo piccolo angolo di mondo in mezzo all’oceano, con le sue varietà botaniche e faunistiche, attirò l’attenzione di Charles Darwin, che le descrisse nel suo “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”, il libro pubblicato nel 1839 che, con il suo ricchissimo bagaglio di osservazioni sul campo, costituì la premessa all’elaborazione della teoria darwiniana della selezione naturale e dell’evoluzionismo.
Erosione del suolo, deforestazione per coltivazione e legna da ardere, inquinamento ambientale, estrazione di sabbia, pesca a sfruttamento intensivo…gli effetti dell’antropizzazione minacciano il patrimonio naturale dell’arcipelago. Ma in anni recenti Capo Verde ha iniziato a valorizzarlo, entrando finalmente nel circuito turistico internazionale. Una risorsa importante, per la quale si dovrà trovare un giusto equilibrio tra lo sviluppo di un’economia difficile e la tutela di un ambiente prezioso (le aree protette sono ancora una percentuale ridottissima).
POPOLAZIONE ED EMIGRAZIONE
Gli abitanti di Capo Verde sono complessivamente circa 550.000 (stima 2017), ma Santa Luzia è disabitata e le altre nove isole hanno una popolazione variabile. Quelle a est, afflitte da una cronica insufficienza idrica, hanno solo piccoli insediamenti, dovuti essenzialmente allo sfruttamento delle grandi saline. Le isole più a sud, favorite da una maggiore piovosità e da venti meno forti, sono più abitate, ma l’agricoltura e il pascolo hanno impoverito suolo e vegetazione.
Circa metà della popolazione vive sull’isola di Sao Tiago (Santiago), con i 145.000 abitanti della capitale Praia. Seconda è la città portuale di Mindelo, sull’isola settentrionale di Sao Vicente, che ne conta circa 75.000. In ogni caso, il 67% della popolazione vive nelle aree urbane, con un incremento costante.
Anche se si può forse ancora riconoscere una percentuale di neri africani (circa il 28%) e una piccola minoranza di europei (circa l’1%), i capoverdiani sono una mescolanza di etnie diverse, ormai quasi indistinguibili. Gli antenati erano i portoghesi della colonizzazione, gli schiavi africani (Fula, Balanta, Mandinga…), ma anche, sia pure in minor misura, spagnoli, ebrei, inglesi, genovesi e veneziani: in altri termini, un crogiuolo genetico di tutti i popoli che nei secoli passati percorrevano i mari tra Europa, Africa e Americhe.
Il risultato è la popolazione creola di Capo Verde, che si riflette anche nella fusione di culture che la caratterizza.
A cominciare dalla religione. La preponderanza di cattolici (circa il 77%) non esclude la presenza di una buona percentuale di protestanti di varie confessioni, l’ibridazione del cristianesimo con elementi animisti di origine africana e la presenza, sia pure minoritaria, di musulmani.
La lingua ufficiale è il portoghese. È però molto usato il creolo capoverdiano: un portoghese ibridato con termini ed espressioni provenienti dall’Africa occidentale, che peraltro da isola a isola presenta varianti dialettali, nonostante il recente sforzo di unificazione e standardizzazione linguistica. Sebbene sia considerata un’ipotesi per ora impraticabile, c’è infatti chi ritiene che a scuola si dovrebbe imparare anche il creolo. Francese e inglese sono insegnati come lingua straniera a partire dal settimo anno di istruzione.
Anche nella lingua e nelle lingue dunque, Capo Verde è un ponte tra Africa, Europa e Americhe e vive la contraddizione tra i suoi ineludibili esordi coloniali e una comprensibile aspirazione ad affrancarsene, in nome di una specificità e di una autonomia etnico-culturale. E continua comunque il filo che lega queste isole al vecchio continente: il sistema giudiziario è tuttora mutuato da quello del Portogallo e soprattutto in quel paese è attivo un movimento che vorrebbe l’ingresso dell’arcipelago nell’Unione Europea.
Il tasso di natalità della popolazione è sempre piuttosto elevato, ma la crescita (stimata nel 2017 intorno al 1,3 %) è contenuta da una mortalità infantile ancora oltre il 2 % e da una aspettativa di vita che non supera i 72 anni. Capo Verde è un paese di giovani: l’età media è 26 anni.
Per secoli, carestie ed epidemie hanno provocato forti riduzioni della popolazione, decimata o costretta ad emigrare.
Dopo il primo esodo ottocentesco, quando, negli anni ’20, gli Stati Uniti imposero nuove limitazioni agli ingressi, i capoverdiani si indirizzarono verso il Portogallo, il Senegal e l’Argentina. Dagli anni ’60, crebbe la tendenza a dirigersi verso l’Europa: gli emigranti andavano a coprire i lavori a bassa specializzazione lasciati scoperti dai portoghesi che cercavano migliori opportunità, oppure venivano ingaggiati nell’industria nautica olandese.
In anni più recenti, in seguito a leggi meno restrittive, si è riattivato il flusso verso gli USA, ma soprattutto si è sviluppata la migrazione verso i paesi del sud Europa, come l’Italia, per lavorare in ambito domestico come colf o badanti: un fenomeno che ha quindi coinvolto soprattutto le donne.
Dopo decenni di siccità ricorrenti e di difficoltà, il numero dei capoverdiani all’estero ha ormai superato quello dei residenti in patria. Quasi tutti hanno qualcuno negli USA, in Europa, in Africa o Sud America, che contribuisce in modo consistente, con le rimesse, al reddito familiare e, più in generale, all’economia del paese.
In questi ultimi anni, l’adozione di politiche più restrittive nei paesi di destinazione ha indotto una diminuzione del flusso migratorio. Questa tendenza, sommata agli effetti della giovinezza della popolazione e dell’aumento dell’aspettativa di vita ha provocato una sensibile crescita demografica e, come conseguenza, una ulteriore pressione sui livelli di occupazione e sulla disponibilità di risorse.
Senza contare che, dagli anni ’90, Capo Verde è diventata anche destinazione di nuovi immigrati (prevalentemente lusofoni o cinesi) e una base di passaggio per la migrazione illegale dall’Africa occidentale all’Europa.
ECONOMIA
Il punto di forza di Capo Verde è la sua posizione strategica come stazione di scalo, manutenzione e rifornimento per le rotte navali e aeree tra i continenti. D’altra parte, il punto di debolezza è la scarsità di risorse del suo piccolo e fragile territorio.
Le possibilità della sua economia dipendono in gran parte da fattori esterni. Il turismo è attualmente il principale motore di sviluppo, ma risente delle fluttuazioni dell’economia dei paesi europei, dai quali proviene gran parte dei visitatori. Gli aiuti internazionali allo sviluppo, i diritti di scalo e le rimesse dei tanti emigrati costituiscono il maggiore contributo al contenimento del pesante disavanzo commerciale.
L’economia di Capo Verde è in gran parte alimentata dal terziario, che realizza quasi il 75% del PIL. L’agricoltura ne raggiunge a malapena il 10%.
D’altra parte, le terre coltivate sono solo il 12% (soprattutto mais, fagioli, caffè, canna da zucchero, arachidi) e i pascoli il 6%. Le asperità di queste piccole isole, la penuria idrica aggravata dalle ricorrenti siccità, la desertificazione e la povertà di un suolo troppo sfruttato rendono insufficiente la produzione di cibo: il paese deve importare almeno il 75% del proprio fabbisogno alimentare.
Recentemente, l’adozione di “tecnologie verdi” sta migliorando molto la possibilità di risparmiare e sfruttare al meglio la poca acqua disponibile.
La pesca, una delle risorse principali, ha un buon potenziale, soprattutto per tonni e crostacei, ma controlli e pianificazione sono ancora insufficienti.
Le attività estrattive costituiscono una minaccia per un arcipelago così piccolo, anche se in quantità assoluta sono piuttosto limitate. Si ricava soprattutto sale, e poi, in misura minore, sabbia, pietra basaltica e calcarea, caolino, argilla e gesso.
Unica risorsa in rapida espansione è il turismo. Nuovi grandi alberghi e residence ospitano annualmente un numero di visitatori ormai pari o superiore a quello degli abitanti, con un contributo decisivo al PIL nazionale.
Le recenti riforme puntano a incoraggiare il settore privato e ad attrarre investimenti stranieri, per diversificare l’economia e fronteggiare l’alto tasso di disoccupazione. Ma il debito pubblico, troppo elevato, limita fortemente i programmi di sviluppo.
Il sistema di telecomunicazioni, a fibre ottiche e banda larga, collega ormai da qualche anno tutte le isole dell’arcipelago tra loro e con i 3 continenti (Africa, Europa e America), ma la popolazione senza elettricità e senza accesso ai servizi sanitari è ancora più del 20%; e l’8% non ha ancora accesso all’acqua potabile.
L’economia di Capo Verde è in fase positiva: si stima che la crescita sia passata da 0,6% nel 2014 a 3,8% nel 2016. Ma il reddito medio pro capite, negli stessi anni, è rimasto più o meno costante: circa 5.500 Euro l’anno. E la disoccupazione, sia pure in sensibile calo, è ancora intorno al 10%. Sin dal 1975 il paese è emerso dalla fascia dei paesi più poveri del mondo, ma il 40% della popolazione vive ancora con solo 550 Euro l’anno e si calcola che circa il 9% abbia una alimentazione insufficiente.
Scarsità di risorse, pressione demografica, disoccupazione, povertà: per molti capoverdiani, emigrare, anche se solo temporaneamente, rimane ancora l’unica possibilità per costruirsi un futuro.
CULTURA
A Capo Verde, l’analfabetismo riguarda ancora il 13% della popolazione. Solo la scuola primaria è obbligatoria e gratuita; non tutti i bambini riescono ad averne accesso e a frequentarla con regolarità. La scarsa padronanza del portoghese, lingua ufficiale di insegnamento, crea qualche problema, visto che per molti, compresi non pochi insegnanti, la lingua madre è il creolo.
D’altra parte, la tradizione creola domina tutti gli aspetti culturali.
Le feste popolari sono infatti una commistione di influenze diverse. Nel carnevale sono evidenti le derivazioni luso-brasiliane. Nella caça-bruxas, quando si canta per scacciare le streghe dall’anima del neonato, si ritrovano ascendenze africane. Nella festa di San Jon, alla processione per San Giovanni Battista si affiancano elementi pagani che ricordano le dionisiache, con bevande a base di rum ereditate dalla tradizione marinara britannica e danze che richiamano in modo esplicito l’accoppiamento sessuale.
Ma l’ambito culturale creolo capoverdiano più conosciuto all’estero, soprattutto a partire dagli anni ’90, è sicuramente la musica, che nei suoi ritmi e nelle sue melodie (come il zouk, la kizomba, la coladeira o il batucu) assorbe e reinterpreta influenze africane, portoghesi, caraibiche e brasiliane, non di rado filtrate dal jazz.
Il genere musicale più famoso è sicuramente la morna, una canzone creola malinconica e poetica, portata al successo internazionale dalla voce di Cesária Évora.