"Mai stipulati patti
sul Lodo Alfano"
Il Quirinale: nessun patto sul lodo Alfano. Falso che al Colle siano stati stipulati accordi per superare il vaglio di costituzionalità
"E' del tutto falsa l'affermazione che al Quirinale si siano 'stipulati patti' su leggi la cui iniziativa, com'è noto, spetta al governo, e tanto meno sul superamento del vaglio di
costituzionalità affidato alla Consulta". E' quanto scrive una nota del Colle, in risposta alle polemiche scatenate, nei giorni scorsi, da il Giornale di Feltri, in seguito alla sentenza sul lodo Alfano.
"Una volta rilevata, da parte del presidente della Repubblica, la palese incostituzionalità dell'emendamento "blocca processi" inserito in Senato nella legge di conversione del decreto 23 maggio 2008, il consiglio dei ministri ritenne di adottare il disegno di legge Alfano in materia di sospensione del processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato.
Il Presidente della Repubblica -si legge nella nota- ne autorizzò la presentazione al parlamento, e successivamente, dopo l'approvazione da parte delle camere, promulgò la legge. Tale promulgazione, comunque motivata, non poteva in nessun modo costituire "garanzia" di giudizio favorevole della corte in caso di ricorso. Il rispetto dell'indipendenza della Corte Costituzionale e dei suoi giudici, doveroso per tutti, ha rappresentato una costante linea di condotta per qualsiasi presidente della Repubblica".
Il Quirinale insomma ci tiene a sottolineare l'indipendenza della Corte e mette un punto fermo sull'assenza di qualsiasi patto oscuro. "La collaborazione tra gli uffici della presidenza e dei ministeri competenti è parte di una prassi da lungo tempo consolidata di semplice consultazione e leale cooperazione, che lascia intatta la netta distinzione dei ruoli e delle rsponsabilità".
Intanto, dalla Consulta trapela che la soluzione al lodo Alfano risale ad un sentenza del 2005. La Corte Costituzionale, nel bocciare il lodo per violazione del principio di eguaglianza dei cittadini, avrebbe individuato nella propria sentenza n. 451 del 2005 sul "caso Previti" una strada per stabilire un equilibrio tra le esigenze pubbliche da parte delle alte cariche dello stato e quelle di un corretto svolgimento di un eventuale processo penale a loro carico. E' quanto trapelato in ambienti vicini alla Consulta.
In quella sentenza, la corte costituzionale scrisse che, nel caso un imputato sia anche componente di un ramo del Parlamento, il giudice ha "l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari". Muovendo dalla sentenza di quattro anni fa il conflitto tra esigenze processuali ed extraprocessuali nel caso di alte cariche dello stato potrebbe essere risolto senza violare il principio di uguaglianza: i processi a Berlusconi, ad esempio, andrebbero avanti, ma i giudici avrebbero l'obbligo di fissare, d'intesa con il premier, un calendario delle udienze che tenga conto degli impegni istituzionali del Presidente del Cconsiglio, in modo da evitare coincidente e non compromettere il diritto di difesa.