Lunedì in seconda serata su Rai3 Report Cult con l'inchiesta "Il virus nero": elementi inediti, documenti e interviste esclusive sull'organizzazione dell'attentato
26 luglio 2020 ore 11:36
DI Giorgio Mottola e Andrea Palladino
La destra neofascista finanziata e telecomandata dalla loggia P2. Le nuove carte sull’attentato alla stazione di Bologna potrebbero chiarire definitivamente la storia delle stragi italiane. Dopo anni di bugie, errori e depistaggi, per la prima volta la Procura generale di Bologna è riuscita a ricostruire il flusso di soldi in nero partito da Licio Gelli e servito a finanziare, secondo le accuse, omicidi, attentati e bombe dei terroristi neofascisti tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80.
La traccia dei finanziamenti è stata ricostruita grazie a un documento, trovato addosso a Licio Gelli al momento del suo arresto a Ginevra nel 1981. Il foglio riporta sul frontespizio la scritta “Bologna 525779 –X.S.” ed elenca nomi, date e importi di una lunga serie di transazioni. Per anni, chi ha condotto le indagini ha omesso particolari fondamentali del documento sequestrato a Gelli, fino a quando, nel 2018, Procura generale e Guardia di finanza di Bologna sono ripartiti da zero. Hanno seguito le tracce di quei soldi, decrittando i nomi cifrati e ricostruendo il giro di quasi 15 milioni di dollari che Gelli ha iniziato a movimentare su conti offshore e a distribuire in contanti pochi giorni prima della strage di Bologna. La figura chiave è quella di Marco Ceruti: imprenditore fiorentino, proprietario di ristoranti lusso, usato da Gelli per le sue operazioni finanziarie opache in Svizzera. È a lui che il Venerabile versa 5 milioni di dollari. Di cui 4 sui conti “Bukada” e “Tortuga” e 1 milione, scrive Gelli in un appunto, “consegnato in contanti dal 20-7-80 al 30-7-80”.
Stando a quanto rivelato lo scorso aprile in esclusiva a Report da Carlo Calvi, figlio dell’ex presidente del Banco Ambrosiano Roberto Calvi, una parte dei soldi sarebbe poi passata dalle mani di Ceruti a una serie di antiquari italiani attivi a Londra. “Il ruolo degli antiquari italiani a Londra era fondamentale per Gelli – spiega Carlo Calvi –, i soldi che gli antiquari ricevevano dalla P2 sono serviti a finanziare e sostenere la latitanza dei neofascisti fuggiti a Londra subito dopo la strage di Bologna”. Gli stessi latitanti che godranno per oltre trent’anni della protezione del governo britannico.
È invece al governo italiano che si rivolge direttamente Licio Gelli quando sta per essere interrogato nel 1987 dalla Procura di Milano. Tra i temi d’interesse dei magistrati doveva esserci anche il suo ruolo nella strage di Bologna. Qualche giorno prima dell’interrogatorio, il suo avvocato, Fabio Dean, va a incontrare il capo della polizia Vincenzo Parisi, che in una nota scritta sintetizza i contenuti della conversazione. Nel documento, indirizzato al ministro dell’Interno Amintore Fanfani, Parisi racconta che il legale di Gelli “ha riferito di aver contattato il ministro di Grazia e giustizia (Giuliano Vassalli, ndr), il vicesegretario del Psi Martelli ed esponenti della Dc e di altri partiti”. Durante la conversazione, Dean fa delle precise minacce: “Se la vicenda viene esasperata – scrive Parisi, riportando le parole dell’avvocato – e lo costringono necessariamente a tirare fuori gli artigli, allora quei pochi che ha li tirerà fuori tutti”. Qualche settimana dopo, quando Licio Gelli verrà interrogato, non dovrà rispondere a nemmeno una domanda su Bologna.
Solo quarant’anni dopo, grazie all’analisi dei flussi finanziari, sono dunque emersi i rapporti tra Gelli e i membri dei Nar, condannati per l’attentato alla stazione. Si tratterebbe di un’alleanza, quella tra massoneria deviata e neofascisti, che vede un terzo elemento, il Sismi del piduista Giuseppe Santovito. Su questo crocevia c’è una nuova testimonianza di un generale dei servizi militari, da tempo in pensione. A lui i magistrati della Procura generale di Bologna hanno posto la domanda chiave, che riporta ai depistaggi iniziati immediatamente dopo la strage: “Perché il servizio copriva i giovani attentatori dei Nar?”. La risposta è una porta aperta sul possibile movente: “L’interesse della P2 era quello di favorire la stabilizzazione del sistema democratico italiano attraverso le operazioni di destabilizzazione del sistema stesso che provenivano dagli attentati terroristici della destra e della sinistra”. I magistrati vanno oltre, chiedendo notizie sul “documento Westmoreland”, un “field manual” delle forze statunitensi elaborato all’inizio degli anni 60 sulla possibile reazione alleata di fronte alla possibilità dell’arrivo al governo di una forza comunista in un Paese del blocco occidentale. L’ufficiale del Sismi conferma ai magistrati bolognesi l’esistenza e l’autenticità del documento, già studiato nei processi sull’organizzazione Gladio, ricordando il sequestro di una copia del manuale alla figlia di Gelli.
I rapporti tra l’intelligence vicina a Gelli e gli Usa passavano anche attraverso gli “agenti di influenza”, colonne portanti della guerra psicologica e di informazione. Uno di questi, secondo la testimonianza dell’ex Sismi, era Michael Ledeen, storico statunitense a lungo consulente dei servizi militari italiani: “In occasione dell’operazione ‘terrore sui treni’ (l’attività di depistaggio sulla strage di Bologna, ndr) vidi scendere dall’aereo dei servizi Francesco Pazienza, Santovito (ufficiale piduista ai vertici del Sismi fino al 1981, ndr) e Michael Ledeen (…) erano stati negli Usa”. Secondo la testimonianza in mano avevano “le stesse riviste trovate all’interno della famosa valigia del treno Taranto-Milano del 13 gennaio 1981, su cui fu compiuto il depistaggio”. L’episodio portò alla condanna di Gelli, Pazienza e Belmonte.
Lo storico statunitense non era l’unico collegamento con il mondo Usa in contatto con il Sismi nei primi anni 80, quando il servizio militare era controllato dalla P2: “Ho visto spesso ai servizi un altro ‘agente di influenza’ – racconta l’ex ufficiale – che era Edward Luttwach”. Secondo la testimonianza l’economista Usa (esponente dell’ala repubblicana più oltranzista) avrebbe diretto, su invito di Santovito, una “esercitazione informativa, che durò una mattinata e fu una ‘banalità’”, ricevendo un compenso di 150 milioni di lire. Erano i primissimi anni 80, l’epoca dei servizi piduisti.